UNA CESSIONE DI POTERE
La decisione di affiancare a Urban Center Bologna, che da oltre un decennio rappresenta la tradizione bolognese dei processi partecipativi, un ufficio Immaginazione civica può apparire anacronistica in un momento politico italiano in cui possiamo serenamente affermare che l’immaginazione, con buona pace di Marcuse, al potere non è poi andata. Ma le prime occasioni di discussione sul tema non offrono l’impressione di una deriva nostalgica indotta dal cinquantennale dell’annus mirabilis, quanto la riproposizione di un argomento centrale nelle pratiche partecipative per la trasformazione della città. Pratiche che vivono, in tutta Europa, un momento di straordinaria espansione, sostenute da un moltiplicarsi di tecniche e «professionalità» (difficile non far correre la mente al liberatorio schiaffo morettiano in Palombella Rossa quando la parola affaccia in ambito politico) tuttavia in carenza di riflessioni concettuali sulla loro struttura ed efficacia. Il termine «immaginazione» non sembra entrare nel progetto bolognese come apertura alla «dimensione estetica» della città, bensì in stretta relazione con un dichiarato programma di «cessione del potere».
La relazione tra «immaginazione» e «empowerment» va inquadrata in una duplice crisi. Da un lato il necessario abbandono dell’ottimismo pianificatorio proprio della tradizione emiliana nel dopoguerra, oggi inadeguato a interpretare la crisi sistemica di un assetto regionale in cui Bologna ambisce a essere fulcro di una Città Metropolitana, dunque a costruire un nuovo principio di cittadinanza capace di ampliare la cittadinanza comunale, presumibilmente senza cancellarla. Difficile pensare che simili processi possano essere affidati a opere di letteratura pianificatoria. Dall’altro lato, il rischio che una positiva specificità — ossia l’attenzione per gli aspetti processuali di crescita della città e per il governo partecipato, scelta bipartisan rifondativa della Bologna postbellica — rimanga soffocata dalla sua stessa pervasività e da una deriva tecnicista. Un processo partecipativo costante e impeccabile per favorire l’emersione di scelte «dal basso», destinate tuttavia a incontrare ineludibili vincoli «dall’alto», a scala cittadina ma, più tipicamente, generati in una geografia più vasta, nazionale e internazionale, perciò inaccessibili al processo partecipativo per sua natura locale.
Da qui il tema, centrale, dell’«empowerment», del processo partecipativo come «cessione di potere», deliberato auto-depotenziamento dell’attore politico istituzionale che, in aggiunta a un’intrinseca contraddizione, fronteggia un’ulteriore difficoltà: non necessariamente il potere rilasciato da un soggetto coincide con il potere desiderato da un altro. Esiste, soprattutto se il dispositivo è applicato alla dimensione complessa della città, un territorio di incertezza e di invisibilità, un luogo degli esclusi (tali non necessariamente per debolezza e non raramente per deliberata volontà di autoesclusione), la cui possibile inclusione forse legittima il ricorso a un termine ad alto rischio ideologico qual è, in politica, la parola «immaginazione». Ma con una accortezza. Quanto, o chi è invisibile alla pianificazione come alla partecipazione non è altrove o altro rispetto alla città; anzi, è forse la sua componente maggioritaria. Occorre dunque non attribuire al termine immaginazione il campo semantico cui più tipicamente rimanda nella cultura architettonica e urbanistica, evocando il non ancora accaduto e il non esistente in accezione visionaria o profetica. Se l’immaginazione dev’essere «civica», riconducibile ai cittadini con ambizione di attingere a ogni forma di cittadinanza e di asservire il processo immaginativo a una «cessione di potere», non a un’affermazione di potere come è più proprio dell’immagine architettonica e urbana, allora deve consistere in una ars memoriae non collettiva bensì pluripersonale finalizzata, proprio come nel dispositivo analizzato da Frances Yates nel suo celebre volume del 1966, alla trasformazione dell’immagine di ogni luogo urbano in una imago agens, capace di riattivare costantemente una storia vivente della città.