IL PRESEPE POTREBBE OFFENDERE? LA SACRALITÀ VA CONDIVISA
Approfitto per mandare a tutti gli amici del Corriere gli auguri, ma soprattutto colgo l’occasione per manifestarle un problema che ci siamo posti in famiglia e fra amici durante una cena di un po’ di giorni fa. La questione è stata sollevata da una signora, la quale ci ha detto che lei non mette il presepe con il bambin Gesù per non offendere la colf islamica. Ne è nata una discussione, con alcuni che l’hanno appoggiata e altri no. Ci sono in mezzo anch’io che ho sostenuto il contrario: nella mia famiglia abbiamo sempre fatto il presepe, non vedo perché dovremmo cambiare. Grazie se, accettando i miei auguri, mi volesse dire anche la sua opinione. Alda Losi, BOLOGNA
Gentile signora Losi,
accolgo i suoi auguri natalizi con piacere e li ricambio, allargandoli a tutti i lettori che seguono e animano il nostro colloquio settimanale. Non mi sottraggo alla sua richiesta, ma con una premessa molto chiara. Non sono un arbitro, quindi non do giudizi assoluti. Esprimo dunque un’opinione che tale vuole restare, alla quale però incollo un timbro di garanzia: quello della sincerità. Io non modificherei la miei abitudini, le mie tradizioni, i miei valori. Non rinuncerei al presepe, non toglierei il bambinello dalla sua capanna e tantomeno dal mio cuore, per la paura di offendere la suscettibilità degli ultrà di un’altra religione. Sia chiaro, ciò non per una sorta di sprovveduto campanilismo, del tipo il mio dio è migliore del tuo, ma in forza di una convinzione: ognuno di noi ha diritto di manifestare la propria fede e ognuno di noi deve riconoscere al prossimo lo stesso diritto. Negare questo principio è, a mio avviso, fondamentalismo becero.
Aggiungo una convinzione che mi sta molto a cuore. Il senso davvero religioso della vita dovrebbe indurci alla disponibilità, o addirittura al bisogno, di pregare in sintonia e in comunione con chi si nutre di altre preghiere. Non si prepara un futuro pacificato attraverso le sottrazioni. Non c’è salvezza se vincono i tentativi di negare e togliere il sacro che appartiene all’altro. Usando in tale campo così decisivo della vita umana il metro del politicamente corretto, si finisce fuori strada. Il diritto alla propria fede è sinonimo di vera civiltà.
L’autolimitazione — anche se dettata da delicate intenzioni e non da opportunismo o addirittura da pavidità — non è la via di uscita, bensì il percorso che porta a infilare un vicolo cieco. Il mio augurio, quando diciamo «Natale con i tuoi», è che questi «tuoi» siano anche gli altri. Se non seduti alla stessa tavola, almeno accolti nel cuore.