«Igor, sappiamo chi lo ha aiutato»
«Sappiamo chi sono i complici e attraverso quali canali è sfuggito dall’Italia»: lo assicura il comandante provinciale dei carabinieri Valerio Giardina nel fare un bilancio dell’operazione Igor. Il colonnello promette che le indagini arriveranno a una svolta entro la prima metà del prossimo anno e in occasione della conferenza stampa di fine anno sulle attività dell’Arma si toglie qualche sassolino dalla scarpa: «So molto bene come si fanno le indagini, serve tempo e fatica». Dopo mesi di polemiche sulla mancata cattura del killer di Budrio e Portomaggiore, il comandante snocciola anche i numeri degli obiettivi raggiunti durante la caccia all’uomo.
Il 2017 per l’Arma dei carabinieri si chiude con Norbert Feher, detto Igor Vaclavic, dietro le sbarre, non in una prigione italiana, ma comunque in carcere e questo fa tirare un sospiro di sollievo al comandante provinciale di Bologna Valerio Giardina. Ma devono ancora essere assicurati alla giustizia i suoi fiancheggiatori. «Entro la metà del prossimo anno — assicura Giardina — chiuderemo il cerchio».
Il colonnello spiega che i carabinieri che in questi mesi hanno lavorato per stanare il killer di Budrio e Portomaggiore stanno scrivendo un’informativa anche sulla rete di complici, che, assicura, «sono stati individuati già da fine aprile. Grazie alle intercettazioni telefoniche, ambientali e ai pedinamenti sappiamo quali sono le sue cellule di riferimento e attraverso quali canali è sfuggito dall’Italia».
Complici individuati, dunque, sia in Italia che all’estero ma bisognerà aspettare ancora qualche mese perché le indagini si chiudano anche per loro e perché i carabinieri possano tirare le fila e rispondere alla domanda che tutti si fanno: come ha fatto un rapinatore che, proprio nel video inedito dell’omicidio di Budrio che l’Arma ha deciso di diffondere ieri, sembra goffo e impreparato, a sfuggire a centinaia di uomini superspecializzati che gli davano la caccia?
Arriverà una risposta anche per questo ma ci vorrà tempo e sul tempo il colonnello Giardina si toglie più di un sassolino dalla scarpa. «Conosco molto bene il modo in cui si fanno le attività investigative, è un percorso molto lungo e faticoso, in uno Stato democratico è necessario cristallizzare le prove perché l’autorità giudiziaria possa emettere un provvedimento. Aldilà delle chiacchiere ci sono solo due modi per cristallizzare le prove: vedere e sentire». Sottotitolo: non siamo stati con le mani in mano.
Alla fine dell’anno arriva il momento dei bilanci e l’Arma, finita nell’occhio del ciclone per la mancata cattura del killer serbo, risponde finalmente alle accuse dopo mesi di silenzi a volte imbarazzati. «Grazie al dispositivo messo in campo per catturarlo — fa notare il colonnello Giardina —, abbiamo impedito che proseguisse la scia di sangue. Gli abbiamo dato la caccia come una preda».
Gli specialisti dell’Arma, ricorda, hanno tracciato un profilo criminologico di una persona «con una progettualità sanguinaria» che «non si sarebbe fermato di fronte a niente». Poi arrivano i numeri: in tre mesi di caccia all’uomo, nella zona rossa tra Bologna e Ferrara, sono state impiegate 1.600 pattuglie di carabinieri, di cui 360 del Tuscania e dei Cacciatori di Calabria, 963 di squadre operative di supporto (Sos) e aliquote di primo intervento (Api), 350 sono stati i posti di osservazione e allarme predisposti: cioè obiettivi sospetti che i militari specializzati hanno tenuto sotto controllo per 24/48 ore «mimetizzandosi con la boscaglia, senza allontanarsi nè per mangiare nè per andare al bagno». E ancora: 1.820 sono stati gli edifici rastrellati, 102 le scansioni dinamiche del territorio con camera termica, 81 le perlustrazioni con i cani molecolari, di cui otto dall’esito positivo: i cani hanno cioè fiutato le tracce del Dna del fuggitivo.
Ma la caccia a Igor ha permesso anche di stanare in quella zona criminali che con lui non c’entravano niente: 93 sono stati gli arresti in flagranza nel corso dei controlli, 582 le persone denunciate, 20 chili di hascisc sono stati sequestrati e 20 macchine rubate rinvenute.
Ma Feher è stato catturato in Spagna dalla Guardia civil dopo aver ammazzato altre tre persone. Giardina, specializzato nella ricerca dei latitanti di ‘ndrangheta, spiega perché è stato così difficile prenderlo prima per i carabinieri. «È un latitante atipico, ha goduto di appoggi, questo lo sappiamo, ma è anche in grado di estraniarsi completamente per alcuni periodi dalla sua cellula criminale. I latitanti di mafia hanno una famiglia, hanno rapporti sul territorio, hanno attività economiche a cui stare dietro, con qualcuno devono mantenere i rapporti, Norbert Feher no». La madre e le sorelle sono state messe sotto controllo da subito e finiranno sicuramente anche loro nell’informativa sui fiancheggiatori.
I numeri della caccia In tre mesi di ricerche nella zona di Molinella, furono rastrellati 1.820 edifici