Hamill, non più credibile
Abbiamo aspettato un paio di settimane per vedere come ci si depositava in testa questo ottavo capitolo ufficiale (esclusi gli spin-off) di Star Wars, e anche per capire se il fastidio iniziale era davvero — come qualcuno degli entusiasti sospetta — un tiramento da nerd. A mente fredda no, non siamo custodi della purezza dei Jedi e non ci spaventa qualche sana innovazione dentro una saga che festeggia (nell’anno che si sta chiudendo) il suo quarantennale. In fondo il molto amato numero sette, nelle sapienti mani di J.J. Abrams, aveva già dovuto (riuscendoci) trovare una delicata sospensione chimica tra la trilogia originale, comprensiva degli attori ormai invecchiati, e l’approccio della Disney, che nel frattempo si era accaparrata i diritti sul franchise. Questa volta Rian Johnson, assai meno scaltro di Abrams, aveva più che altro il compito di trasportare Star Wars dentro altri universi, principalmente nel contesto ridanciano e molto colorato della Marvel. Ma ce n’era proprio bisogno? La Marvel non possiede già un suo mondo complesso e popolato da decine di supereroi, senza bisogno di vedere trasformati a loro volta i soldati della Resistenza spaziale in guardiani della galassia meno spiritosi? Purtroppo, poi, mentre Harrison Ford è invecchiato bene e ha ritrovato la vecchia spavalderia di Han Solo, il povero Mark Hamill (alias Luke Skywalker) nulla può di fronte al proprio decadimento fisico e al ventre da ottimo bevitore. Buffo, che in epoca di computer graphic e trucchi incredibili il cinema sia ancora una macchina della verità, denunciando spietatamente gli occhi appesantiti del protagonista. Nulla di male, sia chiaro, ma che la Forza sia ancora con lui è davvero difficile da credere.