«PINOCCHIO» FAVOLA PER ADULTI
Da venerdì lo spettacolo di Antonio Latella ispirato al racconto di Collodi. Protagonista il giovane Christian La Rosa: «Il mio nomignolo da bambino era Fantozzi, per un modo di fare goffo, ma significa anche essere qualcuno in cui la gente si riconosce,
È un Pinocchio strepitante vita sotto un grande tronco di albero e una pioggia di segatura quello di Antonio Latella. Il protagonista, il giovane Christian La Rosa, premio Ubu come migliore attore under 35, è l’unico personaggio senza appendici, maschere, parrucche, trucchi, in un mondo in cui tutto sembra finto. In questo spettacolo prodotto l’anno scorso dal Piccolo Teatro di Milano con la drammaturgia di Latella , di Linda Dalisi e Federico Bellini, la regia diventa invenzione sorprendente sulla tavolozza della favola di Collodi. Pinocchio, con Michele Andrei, Anna Coppola, Stefano Laguni, Fabio Pasquini, Matteo Pennese, Marta Pizzigallo, Massimiliano Speziani, apre il 2018 della sala grande dell’Arena del Sole dal 5 al 7 gennaio. Ce lo racconta Christian La Rosa.
Come è arrivato a lavorare con Latella, che la definisce un attore «elegantemente, meravigliosamente fantozziano»?
«Dopo essermi diplomato alla scuola dello Stabile di Torino e aver lavorato con Carmelo Rifici, ho partecipato al corso di alta formazione Ert che ha portato alla produzione di Santa Estasi, il ciclo sulla tragedia greca. Durante un’improvvisazione ho detto che il mio nomignolo da bambino era Fantozzi, per un mio modo di fare goffo. Ma “fantozziano” vuol dire anche essere qualcuno in cui la gente possa riconoscersi». Come questo Pinocchio?
«Ci si può identificare anche negli aspetti meno nobili, proprio come per Fantozzi. È comico ma anche tragicamente umano; è divertente ma pure malinconico».
Lei qui corre, si sbatte fino all’ultimo respiro, con ginocchiere e paragomiti, in un costume nero, dark…
«Sono protezioni per un lavoro che è molto fisico, ma anche di parola. Pinocchio fa la fatica di imparare a vivere del bambino. Rincorre la vita. Si porta dietro il tronco da cui è stato formato, un peso e un’àncora di salvezza che a poco a poco abbandonerà. Più che dark, termine che lego all’horror, è un personaggio crepuscolare, malinconico, perennemente su una soglia, quella che divide il mondo dei vivi da quello dei morti».
Come mai lo spettacolo si svolge sotto una continua nevicata di segatura?
«Rimanda al legno di cui è fatto, a un’idea di creazione che non finisce. È un materiale vivo con cui fare i conti: rende scivoloso il palco, può entrare in bocca… ». È rischioso?
«Richiede all’attore attenzione a quello che gli avviene intorno; fa della scena un universo vero e proprio da vivere diversamente ogni sera».
Pinocchio, in questo suo agitarsi in cerca di vita, è circondato da personaggi mascherati con elementi posticci…
«Siamo nel paese della bugia. La prima la dice Geppetto quando afferma che un tronco può parlare. Come tutti i padri trasmette quello che sa, e in questo caso è una menzogna».
Per Latella è un padre che vuole un figlio da sfruttare per sbarcare il lunario…
«Pinocchio impara subito la bugia, che ristagna e diventa menzogna, qualcosa di cui non ci accorgiamo neanche più. Siamo nella teatralità, anche, nella finzione come messa in scena. Tutti i personaggi simulano qualcosa, nascondono, mentono. Quasi all’inizio incontra il teatro dei burattini. Speziani interpreta Geppetto ma anche altre figure sovrapponibili all’identità paterna, Mangiafuoco, il padrone del circo...». E la fata?
«È il contraltare, la figura materna. Porta in un altro mondo, quello in cui grilli, gatti e volpi parlano, in un’altra lingua, in una sorta di aldilà. Pinocchio è fatto dalla concretezza del falegname e dalla magia della fata. Corre in equilibrio tra questi mondi, su una linea d’ombra ambigua, non consolatoria». Alla fine diventerà un ragazzino perbene?
«Diventa uno che accetta la morte nella vita. Accetta anche le cose negative, perfino la menzogna. Diventa un adulto, con coscienza del bene e del male».