LA QUALITÀ RICONOSCIUTA
L’università in Italia una volta era una melassa indistinta. Protetti dal feticcio del valore legale del titolo di studio, gli atenei venivano considerati tutti uguali, e finanziati di conseguenza: per spesa storica o a cottimo, per numero di studenti. Da qualche anno, la situazione — sia pur con l’italica lentezza — sta cambiando. Si comincia a riconoscere ciò che tutti sapevano ma nessuno doveva dire: ci sono atenei che producono molta più ricerca di altri e di assai migliore qualità. Atenei che cercano, tra molte ambiguità, di cambiare e altri adagiati sul quieto vivere. Atenei che, nonostante la paurosa scarsità di finanziamenti per la ricerca, esistono nella comunità scientifica mondiale e altri che pubblicano con lo stampatore sotto casa. Dipartimenti dove si vive e altri frequentati quanto la sala d’aspetto di un dentista la notte di Natale.
Questi cambiamenti hanno suscitato grandi proteste e feroci critiche, spesso corrette, a alcuni metodi di valutazione (senza mai avanzare alternative). Si sono difese le specificità disciplinari, si sono evocate le circostanze ambientali. Gli errori (innegabili) sono stati usati non per correggere ma per delegittimare. Molte volte, i nemici della valutazione sono sembrati sul punto di prevalere. Anche perché i danneggiati erano assai mobilitati, mentre gli atenei che dalla valutazione avevano solo da guadagnare si limitavano a bisbigliare. La recente assegnazione dei fondi per i dipartimenti universitari di eccellenza dovrebbe finalmente cambiare il clima. Rispetto al passato, quando a buone valutazioni corrispondevano poco più che pacche sulle spalle, oggi arrivano risorse reali (per quanto ancora insufficienti). Che premiano, difficile negarlo lista alla mano, quelli che tutti sanno essere i migliori atenei del Paese. Quelli che si sono nell’ultimo decennio impegnati a cambiare e che vedono finalmente premiati gli sforzi fatti. Tra questi, l’ateneo di Bologna che vede 14 su 15 dei dipartimenti candidati vincere i finanziamenti per i dipartimenti d’eccellenza. Un riconoscimento raro, condiviso solo con poche università italiane. Essersi impegnati nel miglioramento oggi comincia a pagare. C’è sempre il rischio di sedersi sugli allori o di nascondersi che c’è ancora molto da fare, ma è indubbio che l’università di Bologna si sia meritata un giorno di festa. Da condividere con una città non sempre consapevole delle ricadute, non solo identitarie, della sua presenza.