SACRIFICI DA MERITARE
Vorrei offrire ai dirigenti locali del Pd qualche argomento da contrapporre alla segreteria nazionale per evitare troppi sacrifici in termini di candidature al parlamento. Primo: far valere il criterio di una sana rotazione dopo i famosi famigerati due mandati, non in maniera automatica, ma esprimendo anche una valutazione sull’operato del o della parlamentare uscente-entrante. Secondo criterio, inteso a dare buona rappresentanza politica agli elettori: chi viene ripresentato sia ricandidato nello stesso collegio della precedente elezione. Lì potrà spiegare ai suoi elettori le molte cose successe nella delicata, soprattutto per il Pd, legislatura che si è conclusa, chiarendo, mio mantra, cosa ha fatto, non fatto, fatto male e perché. Sarebbe un’ammirevole e utilissima operazione pedagogica che restituirebbe dignità alla politica. Terzo, scegliere le nuove candidature, anche quelle che Roma vorrebbe paracadutare, in base a due elementi: la storia politica, sociale, professionale e la sua rappresentatività delle idee del Pd, del sua passato, del suo progetto. Il paracadutato/a dovrebbe anche garantire la sua presenza sul «territorio», non solo a fare passerella, ma a interloquire con gli elettori tutti, con le associazioni, persino con le banche. A questo punto, a Pier Ferdinando Casini (eletto alla Camera per la prima volta nel 1983) fischieranno le orecchie, ma so che personalmente se ne infischia. Tuttavia, da un lato, mi pare difficile inserire Casini nella storia Pd; dall’altro, mentre serpeggia l’inquietudine nella «base», è giusto chiedersi se la candidatura di Casini (quanti voti porterà?) non segnali la direzione di marcia del Pd verso il centro-destra. Infine, per chi ritiene che la buona rappresentanza parlamentare è la premessa di qualsiasi governabilità decente, le candidature vanno scelte in base alla loro qualità, non perché sono «in quota di» qualcuno, né di Prodi né di Franceschini, ad esempio, ma perché rappresentano le idee del Partito democratico. Si tratta di elezioni nazionali che, dunque, non dovrebbero in alcun modo avere riflessi sulla composizione della giunta di Bologna. Qualsiasi rimpasto andrebbe fatto con riferimento alle esigenze di garantire un miglior funzionamento del governo locale, non a ricompensare qualcuno perché non ha «ottenuto» candidature al parlamento né a produrre un qualche riallineamento fra chi ha vinto e chi ha perso nel Partito democratico. Che brutta storia.