Le «Ombre folli» di Scaldati
Èun Franco Scaldati diverso quello che portano in scena stasera Enzo Vetrano e Stefano Randisi al teatro Laura Betti di Casalecchio (ore 21, unica data in Emilia Romagna). Abbiamo conosciuto lo scrittore palermitano grazie ai due attori siciliani da tempo residenti in Romagna, con i giochi di specchi, le atmosfere surreali, divertenti con retrogusti amari e neri, di Totò e Vicè e del recente Assassina, finalista all’Ubu. Ombre folli è una discesa nell’oscurità fino al buio più fitto, un viaggio nello sdoppiamento, nel desiderio, in quello che si vorrebbe essere e che non si può mostrare. Presentato in lettura alla rassegna di teatro omosessuale Garofano verde, è diventato una produzione del Teatro di Roma in una personale dedicata a Franco Scaldati, il poeta dalla lingua magmatica, arcaica e densa di tutti i raschi, i detriti, i crolli della sua città pomposa e derelitta, del respiro degli emarginati che guardava ogni giorno tirare la vita nei quartieri popolari.
Vetrano, quando nasce il testo?
Enzo Vetrano: «È un inedito, scritto a cavallo del 2000, quando Scaldati aveva il laboratorio Le femmine dell’ombra all’Albergheria, il quartiere del mercato di Ballarò. Sono cinque pezzi di varia lunghezza. Noi ne facciamo tre».
Stefano Randisi: «È una scrittura in cui la temporalità sembra sospesa. Comincia in un presente in cui i personaggi appaiono giovani, e ti trasporta da altre parti, fino a rivelarci che sono vecchi. La prima sezione si intitola Creatore d’ombre: uno scrittore immagina ombre che si staccano dal suo foglio…».
Un tema pirandelliano?
S. R.: «Sì, ci sono collegamenti fortissimi con lo scrittore di Girgenti, con accenti assolutamente moderni. Sono personaggi che non si riconoscono, forse perché non reali ma immaginati. Poi c’è un intermedio, in cui capiamo che lo scrittore visita figure forse vissute, esperienze personali. E infine una parte, che costituisce il grosso dello spettacolo, intitolata Travestimenti». Finisce così il testo? S. R.: «No, continua con altre due sezioni che non abbiamo messo in scena. Siamo in un condominio fantasma, disabitato, dove c’è una lavascale che vede varie ombre passare e andare via. Sono tutti travestimenti dell’autore, che si racconta in varie forme».
Che cosa vedremo nello spettacolo?
E.V.: «Nei primi minuti uno scrittore che percuote i tasti di una macchina da scrivere, una vecchia Lettera 22 (Franco usava sempre solo quella), e così facendo evoca un suo doppio, un’ombra che esce da lui per prendere vita autonoma: non sa chi sia ed è egli stesso. Sullo sfondo sono proiettate immagini e anche le parole che scrive. In tal modo traduciamo parti del testo, del suo dialetto arduo e musicale. Nella seconda parte dialogano due personaggi, e uno traduce qualche brano dell’altro. Sono ombre e personaggi concreti: uno è un operaio che si traveste da donna, va per le strade e si prostituisce. Quando viene riconosciuto, uccide».
E l’altro?
E. V.: «Racconta di quando ha sequestrato l’operaio per impedirgli le sue scorribande: lo ha salvato, ma lo ha anche rinchiuso in gabbia… Il tutto in una lingua inusuale in Scaldati, in cui si parla di sperma e di pompini, eppure piena di poesia. Questi fatti crudi sono circondati da pensieri, da considerazioni, da smarrite tenerezze, in slittamenti temporali continui».
S. R: «Qui ci si distacca dall’umorismo emarginato di Totò e Vicè e da quello già tinto di gotico di Assassina. Si attraversa il buio della vita portando all’estremo la condivisione di una sessualità totale che comprende in sé maschile e femminile e che diventa dramma perché castrata, repressa».
È un inedito, scritto a cavallo del 2000, quando Franco Scaldati aveva il laboratorio Le femmine dell’ombra all’Alberghe ria, il quartiere del mercato di Ballarò. È una scrittura in cui la temporalità sembra sospesa. Comincia in un presente in cui i personaggi appaiono giovani, e ti trasporta da altre parti, fino a rivelarci che sono vecchi.