Da Camst alla Fiera I lavoratori part time ora fanno causa
Sei dipendenti Camst fanno causa all’Inps e vincono, ora tocca a quelli della Fiera
Tempo parziale sì, ma solo nell’orario di lavoro. Per l’ora di andare in pensione, invece, non c’è differenza tra chi lavora a tempo pieno e chi ha un part time verticale e lavora solo in alcuni giorni o periodi dell’anno. Il giudice condanna l’Inps, per la prima volta sotto le Due Torri.
L’anzianità contributiva è uguale per tutti. Le prime sentenze che equiparano i part time verticali a tutti gli altri lavoratori dipendenti cominciano ad arrivare anche sotto le Due Torri. Le apripista sono sei lavoratrici Camst, che l’anno scorso hanno citato l’Inps per farsi riconoscere le settimane non lavorate nel calcolo dell’anzianità contributiva. Nei giorni scorsi la sentenza di primo grado pronunciata dal giudice Carlo Sorgi ha dato loro ragione e condannato l’istituto di previdenza sociale. Permettendo così alle dipendenti di andare in pensione prima del previsto. Ma difficilmente il tema rimarrà circoscritto: in attesa dello stesso giudizio ci sono 14 dipendenti della Fiera e chissà che da lì il fenomeno non si espanda, come già sta accadendo a livello nazionale.
La questione riguarda una discreta fetta di lavoro dipendente: tutti coloro che hanno un contratto part time ciclico verticale. Cioè chi non lavora per tutto l’anno, ma solo in alcuni periodi o in alcuni giorni, seguendo i picchi di produzione. Finora l’Inps ha calcolato la loro anzianità lavorativa sulla base del numero di settimane lavorate. Molte meno, quindi, delle 52 che vengono riconosciute ai lavoratori part time. «Da oltre un decennio l’Inps ha quindi creato gravi discriminazioni nei confronti dei lavoratori part time ciclici verticali», è la tesi dell’avvocata Silvia Marchi e della dottoressa Rosa Lanziello, che hanno seguito la causa in tribunale per le sei dipendenti. E questo nonostante una sentenza della Corte europea, secondo cui calcolare l’anzianità contributiva in maniera diversa viola il divieto di discriminazione. «Il rapporto di lavoro è continuativo — sottolinea Lanziello — non prendono la disoccupazione quando sono a casa».
Delle sei dipendenti che hanno fatto ricorso due avevano effettuato dei versamenti a titolo di contributi volontari per pensionarsi prima: oltre 11.000 euro nel caso di una lavoratrice che si trova già in pensione, oltre 8.000 nel caso dell’altra. Contributi che per il giudice non erano dovuti. Ora l’Inps, oltre a pagare le spese di giudizio, deve anche restituire i versamenti. Per il resto il riconoscimento della stessa anzianità contributiva di chi lavora a tempo pieno non aumenterà le entrate dei futuri part time in pensione: «Non c’è un vantaggio economico — sottolinea Marchi — si va solo in pensione prima».
Ora la partita rischia di allargarsi anche ad altre realtà del territorio. Su questo stesso percorso si stanno muovendo i dipendenti part time della Fiera, che nel 2016 furono protagonisti della vertenza contro i loro licenziamenti. C’è chi si è affidato ai sindacati, ma 14 di loro hanno intentato un’altra causa sempre con le stesse legali e aspettano la sentenza. Ma in altre aziende del territorio potrebbe succedere lo stesso: basti pensare che a luglio dell’anno scorso Ducati annunciò la stabilizzazione (iniziata a gennaio di quest’anno) di 21 lavoratori stagionali grazie a un contratto part time verticale. Se le sentenze verranno confermate nei prossimi gradi, potranno andare in pensione prima del previsto.