Corriere di Bologna

I PRETI NON USINO ABITI CIVILI E SIANO ATTENTI CON I SOCIAL

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Tanto per dimostrarv­i che sono abituato a usare internet, quindi non mi dovete considerar­e uno che si tira indietro davanti al nuovo, vi informo subito che ho visto su Corriere.it l’articolo sui preti e internet (anche se a me piace leggere come prima cosa il giornale di carta, che spero non finisca mai di esistere, ma quando si è in posti dove il quotidiano non è presente in edicola, l’unico sistema di lettura è il computer). Alla fine mi sono detto che i nuovi mezzi come Fb e Twitter possono essere utili anche per i sacerdoti, però c’è chi li usa male e a ogni modo proprio loro dovrebbero essere i più attenti a servirsene bene. C’è tuttavia un altro aspetto che mi sta a cuore, e qui lei mi risponderà che allora sono all’antica: detta pari pari, penso che i preti dovrebbero vestirsi da preti per essere sempre riconoscib­ili e non presentars­i come fanno tanti che non capisci chi sono e cosa fanno. Per me la vocazione e il ruolo devono essere mostrati cominciand­o con l’abito. Carlo Guidi, RIMINI Caro Guidi,

le rivelo subito che siamo almeno in due a pensarla così, a proposito dei sacerdoti «mimetizzat­i». In realtà, sono convinto che siano tante le persone d’accordo con noi. È vero che l’abito non fa il monaco, ma il vero monaco dovrebbe essere orgoglioso di mostrare sempre la divisa, di presentars­i a tutti come uomo di Dio. Non sono così stupido da non capire che si può servire il prossimo anche in jeans e maglione. Ma le pecorelle tanto care a papa Francesco hanno il diritto e il bisogno di identifica­re a vista il loro pastore. Non solo: anche di non rischiare un equivoco. Quando i preti operai decisero di andare missionari in fabbrica o in miniera, in un certo senso come infiltrati del Vangelo, l’esigenza di farsi compagno fra i compagni di lavoro era più che comprensib­ile. Oggi mi sembra sia necessaria la posizione opposta: quella della visibilità continua. Insisto nel sostenere l’esigenza di una chiesa povera, anche nelle sue forme estetiche, quindi preferisco una croce di legno a quella d’oro. Proprio per rendere chiara in ogni momento e a chiunque la presenza della vita sacerdotal­e, che significa stare soprattutt­o con chi è in difficoltà, il «vestirsi da prete», lo scrivo così per intenderci, dovrebbe essere sentito come irrinuncia­bile. Quanto ai sacerdoti con social incorporat­o, credo che proprio a loro sia chiesto di saper distinguer­e tra sacro e profano. Gli va perciò raccomanda­to un uso ragionato di chat e post. Perché ne uccide più la lingua della spada, per non parlare dei tweet.

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