L’umanità nascosta
Quando fu presentato a Venezia, c’era qualcuno convinto si trattasse di un documentario sulla provincia americana. Altri vaticinarono: «Con un titolo così strambo, non lo vedrà nessuno». Ora, dopo la pioggia di Golden Globes e altri probabili Oscar in arrivo, Tre manifesti a Ebbing, Missouri viene preso molto più sul serio.Come descriverlo? La protagonista è una donna dura e ferita, con le rughe che le solcano il viso, combatte contro le istituzioni sorde alla morte di sua figlia, è interpretata da Frances McDormand e come personaggio non sarebbe dispiaciuta al Clint Eastwood di Million Dollar Baby e Gran Torino. Tutto intorno, si muovono una serie di bifolchi da cittadina statunitense, rozzi e spesso razzisti, che a volte sono delle vere carogne e a volte mostrano un’umanità imprevista. Il catalogo di reietti, disperati, bizzarri, tonti, freak e matti da legare ci porterebbe in area Coen, così come la bella musica di Carter Burwell, ma poi il film di Martin McDonagh va per la sua strada, diversa dai registi citati. Anzi, è un film che non somiglia a nessun altro: si passa dalla commedia (dark) al dramma famigliare, dal noir al teatro shakespeariano, spesso in pochi minuti, con continui momenti di empatia seguiti da docce gelate. Questo perché è tutto tranne che un film a tesi, e racconta un pezzo di America senza pregiudizi, che ci fa da una parte inorridire e dall’altra comprendere che nascosta da qualche parte c’è un po’ di umanità da riconoscere e rimettere in circolo. Insomma, il film trasuda libertà creativa e spiazza, come fossimo tornati alla New Hollywood degli anni Settanta. Trionfo di attori eccezionali, tra cui svetta (oltre alla protagonista) Woody Harrelson.