I GIOVANI NEET VANNO STIMOLATI
Hanno terminato gli studi (quando non si sono ritirati prima del traguardo), hanno smesso di cercare un lavoro e rinunciato a seguire un percorso formativo o d’inserimento sociale. Sono i Neet, ossia i giovani «Not in education, employment or training» tra i 15 e i 29 anni. Nella Ue risultiamo il Paese con la percentuale più alta: siamo passati da quasi il 20% del 2004 a più del 24% nel 2016. Secondo i dati Istat, in Italia sono oltre due milioni (circa il 24% della popolazione con la stessa età). Questo esercito crescente è formato in prevalenza da giovani donne del Meridione, un dato che fa parlare di una disoccupazione strutturale le cui conseguenze sociali comportano costi elevati per lo Stato. In Emilia-Romagna i Neet sono circa il 15%, a Bologna la percentuale è pressapoco la stessa. Siamo la regione con la media inferiore a quella nazionale ma anche di Piemonte, Lombardia e Toscana. Ciò non riduce la gravità del fenomeno e fa prevedere che le politiche finora seguite (formazione tecnico-professionale basata sull’integrazione scuola-lavoro) saranno fallimentari. A cosa servono nel triennio tecnico 400 ore di lavoro con tutor? Non si capisce se sono uno stage, un tirocinio o un reale apprendistato finalizzato all’occupazione. L’integrazione scuolalavoro, per essere una nuova modalità professionalizzante, richiederebbe una strategia che partisse dal mettere in discussione il tradizionale modello famiglia-scuola-lavoro-famiglia. Bisogna considerare i cambiamenti antropologici in atto: i «figli del digitale» sono amanti della comunicazione virtuale, non di rado restii a relazioni concrete. Tali aspetti contraddittori sono concause di una maturazione che a volte li porta a una fragile autostima e a non strutturare un’identità autonoma. Di qui la ricerca di un lavoro da dipendente, ben retribuito e senza responsabilità. Aspetti che, se non soddisfatti, inducono una buona fetta dei Neet al rifiuto, alla chiusura e all’isolamento. Scuola e università hanno grosse responsabilità: non sono ancora riuscite con opportuni sistemi d’incentivazione a sfatare lo stigma dell’istruzione tecnico-professionale come scuola di serie B. Una serie inferiore che nel binomio scuola-lavoro nulla offre di virtuoso, ma la delusione per un percorso formativo a ridotto «sapere» e senza la possibilità di sperimentare il «saper fare». deplatog@gmail.com