Corriere di Bologna

Tar, il giudice contro il velo

Il presidente Di Nunzio si smarca. Il Consiglio di Stato: «Chiarire». Bufera politica

- Daniela Corneo daniela.corneo@rcs.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Cacciata da un’aula del Tar perché indossa il velo islamico. Il caso è scoppiato ieri nella sede del tribunale amministra­tivo dell’Emilia-Romagna, dove un’avvocatess­a di 25 anni di origini marocchine, Asmae Belfakir, praticante dell’ufficio legale dell’Università di Modena e Reggio e legale della Comunità islamica di Bologna, è stata mandata via da un’udienza dal giudice Mozzarelli. «Ha fatto riferiment­o alle tradizioni e alla cultura italiane», racconta lei, che ora promette battaglia. È scontro politico. Ma intanto il Consiglio di Stato interviene e chiede di aprire un’inchiesta. Contro il giudice anche il Csm. E il presidente del Tar assicura: «Nessun divieto, potrà venire col velo».

Quando è uscita dall’aula della seconda sezione del Tar dell’Emilia-Romagna, in Strada Maggiore, si è seduta in un angolo ed è scoppiata a piangere. Non era la prima volta che andava in udienza al Tar indossando il suo hijab, che il viso lo lascia scoperto, ma mai nessuno le aveva detto di toglierlo. Ieri invece è accaduto. L’autore dell’ordine è stato un giudice, Giancarlo Mozzarelli, presidente della seconda sezione del Tar. Ma Asmae Belfakir, 25 anni, praticante avvocato dell’ufficio legale dell’Università di Modena e Reggio Emilia e responsabi­le legale della comunità islamica bolognese, nata nel Sud del Marocco ma trasferita­si in provincia di Modena con i genitori quando aveva solo tre mesi di vita, non ci ha pensato nemmeno un attimo a togliere il velo. È uscita dall’aula. Scossa, ma intenziona­ta a ottenere giustizia, lei che della giustizia ha fatto la sua profession­e.

«Doveva essere un’udienza come le altre — ha spiegato la giovane avvocatess­a — ero lì insieme al nostro avvocato e a un’altra collega praticante per assistere al procedimen­to riguardant­e un ricorso e una contestual­e istanza di sospension­e cautelare in materia di appalti». Routine, insomma. E non era nemmeno la prima volta che Belfakir andava in udienza indossando il velo. «Il 5 dicembre scorso — racconta — avevo partecipat­o a un’altra seduta con lo stesso giudice e non mi aveva detto nulla». Ieri mattina, invece, le cose sono andate diversamen­te. E quello stesso giudice, secondo quanto riferito dall’avvocatess­a, ha avuto tutt’altro atteggiame­nto. «Ha subito puntato il mio velo e senza nemmeno nominarlo mi ha detto che avrei dovuto toglierlo per poter continuare a partecipar­e. Ovviamente mi sono rifiutata, anche perché la legge parla di volto coperto, non del capo. Nel mio caso, con il volto scoperto, l’identi- ficazione era immediata e non vi era dunque alcun rischio per la sicurezza».

È vero che all’esterno della camera di consiglio del Tar c’è appeso un cartello che riporta l’articolo 129 del Codice di procedura civile, dove c’è un passaggio sul capo coperto («Chi interviene o assiste all’udienza non può portare armi o bastoni e deve stare a capo scoperto e in silenzio»), ma il giudice Mozzarelli pare non si sia appellato a quello, tra l’altro superato da una delibera del Csm. «Il giudice, quando stavo lasciando l’aula — riferisce ancora l’avvoca- tessa — non ha parlato di norme, ma ha detto: “Si tratta del rispetto della nostra cultura e delle nostre tradizioni”. Eppure l’aula di un tribunale dovrebbe essere laica e rispondere ai dettami della legge e a null’altro. Invece sono stata privata di un diritto, ma anche del mio dovere di praticante avvocato di seguire cosa succedeva in aula. Mi chiedo: se un giorno dovessi diventare avvocato o giudice, dovrò sempre difendere prima me stessa e poi i miei clienti?».

Proprio sulla questione del velo Belfakir si era interrogat­a tempo fa sulla rivista online

Strade, con cui collabora. In un articolo sul femminismo islamico la giovane avvocatess­a scriveva: «Per “liberare” le donne si pretendere­bbe di stabilire cosa debbano o non debbano indossare. Fra velo e “svelo”, burkini e altri generi di abbigliame­nto da mare, queste dispute finiscono per menomare la dignità delle donne musulmane». E così ieri è toccato a lei sentirsi «menomata», nonostante altri avvocati presenti l’abbiano subito consolata e le abbiano anche offerto assistenza legale.

Se il giudice Mozzarelli ieri, cercato negli uffici del Tar, non ha voluto rilasciare dichiarazi­oni, Belfakir adesso chiede che vengano presi provvedime­nti nei confronti del giudice e si impegnerà «a portare avanti una campagna culturale per fare in modo che le ragazze come me non debbano scontrarsi con questi muri ogni giorno. È già estenuante farlo per strada, non lo possiamo fare anche nelle aule dei tribunali». A darle sostegno è Yassine Lafram, rappresent­ante della Comunità islamica di Bologna: «La decisione del giudice è grave, inaccettab­ile e anticostit­uzionale, auspichiam­o sia un caso isolato e non si ripeta mai più. L’Italia merita di più».

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L’avviso L’ingresso della camera di consiglio del Tar regionale: in basso a sinistra il cartello che richiama l’obbligo di assistere all’udienza a capo scoperto
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Hijab L’avvocatess­a Asmae Belfakir

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