Corriere di Bologna

«Dopo nove anni bui riviviamo il dramma Perché è ancora qui?»

- di Maria Centuori

«Mia figlia porta ancora i segni di quella violenza. È stato un calvario e ora perdiamo quel po’ di serenità che avevamo ritrovato», dice la mamma della ragazzina stuprata da Moamib nel 2009.

La scoperta choc Mia figlia mi ha mandato un sms per dirmi che quell’uomo è ancora a Bologna e che ci aveva riprovato Da mamma mi sono sentita impotente Così abbiamo perso quel poco di serenità che a fatica avevamo trovato Il passato e il futuro Abbiamo cambiato casa e quartiere per provare a dimenticar­e, ci siamo rimboccati le maniche io e i miei tre figli, ma è stato un calvario: mia figlia porta ancora sul volto i segni di quella violenza, presto subirà un intervento

Dopo la sera del 13 febbraio di nove anni fa, al parco Pioppeto di via Mattei non ci sono più le siepi. Sono state tagliate «per impedire che malintenzi­onati si appartasse­ro e abusassero dei nostri figli»: ricorda così quelle settimane un signore che abita poco distante da Villetta Mattei, la scuola materna accanto al parco. E lì, a pochi metri, abitava la quindicenn­e violentata nel 2009 da Jamel Moamib, il tunisino che lì vicino, lunedì mattina, ci ha riprovato, aggredendo una donna di 42 anni. Quella sera maledetta di nove anni fa è ancora ben impressa nella mente di chi vive nelle Case gialle, così chiamano le case Acer dove viveva anche la ragazza vittima dello stupratore, assieme ai fratelli maggiori e alla sua mamma. «La casa ci era stata assegnata dal Comune di Bologna per un nucleo monogenito­riale. I miei figli sono cresciuti tutti e tre lì. Era il 1986 quando abbiamo avuto le chiavi dell’alloggio», ricorda oggi la mamma della quindicenn­e. «Ma subito dopo lo stupro abbiamo fatto le valige. Ci siamo trasferiti in un altro alloggio Acer, in un altro quartiere, per provare a dimenticar­e», spiega.

Oggi sua figlia è una donna, ad agosto compirà 24 anni, e ieri mattina si è svegliata presto come tutte le mattine per andare a lavorare. Ma a un certo punto ha sentito addosso, più forte, il peso di quella sera: ha saputo che quell’uomo ci aveva riprovato. «Mi ha mandato subito un sms per dirmelo. Era sconvolta...E io come lei», dice la sua mamma. State rivivendo il dramma, signora...

«Mia figlia mi ha detto “non riesco a capire perché quell’uomo sia ancora in Italia”. E io non ho saputo risponderl­e. Da mamma mi sono sentita impotente. Me lo sto chiedendo da stamattina (ieri, ndr): perché non è stato accompagna­to nel suo Paese? Perché pochi giorni fa era ancora

lì, a qualche decina di metri dal parco dove violentò mia figlia? Noi ci siamo dovute trasferire. Abbiamo vissuto un calvario. Non meritiamo tutto questo e non lo merita nessuno: è un uomo malvagio potrebbe fare ancora del male».

C’è stato un processo ed è stato condannato a sei anni e sei mesi, quella sentenza prevedeva anche l’espulsione.

«C’era, ma evidenteme­nte non è mai stata eseguita. Sei anni di carcere per il dolore che proviamo ancora oggi non sono nulla, ma almeno lo sapevamo via, rimpatriat­o, abbiamo respirato un po’ di tranquilli­tà. Allo Stato faccio una domanda: io ho creduto nella giustizia, ma perché quest’uomo continuava a girare nelle stesse strade, perché è tornato a provocare lo stesso dolore? Cosa ci vorrebbe allora, la pena di morte?

Siamo un Paese civile, ma che Paese civile è quello che non riesce a garantire giustizia? — si domanda tra la rabbia e le lacrime, a bassa voce, pensando a sua figlia che è di là in camera e che cerca di riposare dopo una giornata di lavoro —. Noi quella sera non possiamo dimenticar­la. Mia figlia ci prova ogni giorno. Ma sul suo viso c’è ancora il segno dell’aggression­e». Cioè?

«Lui l’afferrò alle spalle e le diede un pugno per non farla urlare. Le ha rotto il naso, presto farà un intervento per cancellare la cicatrice. Ma ci sono cicatrici che restano. Quella sera doveva andare a una festa, stava aspettando vicino alla fermata dell’autobus una sua amica. Non vedendola arrivare decise di tornare verso casa, ma non fece in tempo. Quell’uomo la prese alle spalle e la trascinò dietro una siepe. Ha urlato come ha potuto».

Jamel Moamib quella sera è stato fermato da un vicino di casa, un’ex guardia giurata. L’avete più rivisto?

«Si chiamava Angelo — ricorda commossa — e per noi è stato davvero un angelo. Se non fosse intervenut­o, forse mia figlia oggi non sarebbe qui e quel mostro non sarebbe mai stato arrestato. Angelo oggi non c’è più, ma gli saremo grati per sempre. Ricordo che continuava a ripeterci che nessuno a parte lui si era fermato quella sera, era disgustato da questa cosa. Ha bloccato quell’uomo — non dice mai il suo nome — e ha chiamato i poliziotti, che lo hanno arrestato».

(Nel soggiorno della loro nuova casa ci sono tanti ricordi, alcune candeline dei compleanni e una foto, in bianco e nero, che ritrae i tre bambini che sorridono). Come avete fatto ad andare avanti?

«Ci siamo rimboccati le maniche e ci siamo impegnati per avere una vita normale. Ma è stato un calvario. Ancora oggi mia figlia non si stacca dal telefono fino a quando non è entrata in casa e io mi affaccio sul balcone e l’aspetto. Non esce mai a piedi da sola di sera. Ha sofferto tanto, e noi con lei. Anche per la violenza fisica che ha subito. Quella notte al Maggiore e poi i giorni dopo con l’ansia che potesse aver contratto qualche malattia. Ma è sana. E poi il lungo periodo di convalesce­nza, e tutto il resto. Questa nuova violenza ci ha rigettato nell’angoscia». E ora?

«Ci faremo ancora una volta forza. Vorremmo incontrare la donna che è stata salvata lunedì mattina. Dirle che ci siamo, anche a testimonia­nza contro quell’uomo. Ma che stavolta sia rimpatriat­o davvero. E al sindaco chiedo più controlli, e che non si smetta mai di parlare di violenza sulle donne. Mai».

 ?? Il Pioppeto ?? Il giardino pubblico in via Mattei dove, nel 2009, è stata brutalment­e violentata una ragazzina di 15 anni
Il Pioppeto Il giardino pubblico in via Mattei dove, nel 2009, è stata brutalment­e violentata una ragazzina di 15 anni

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