Bio-on cavalca il futuro della plastica
Astorri: «Le norme Ue? Siamo travolti dalle richieste, ma demonizzare è un errore»
La Commissione europea dichiara guerra alla plastica e la bolognese Bio-on, che produce bioplastiche vede aumentare i propri orizzonti: «Siamo travolti dalle richieste da tutto il mondo, per gli impieghi più disparati», racconta l’imprenditore Marco Astorri. Astorri spezza una lancia a favore della plastica tradizionale, «uno dei materiali chiave del nostro tempo».
Da quando è partita l’ultima campagna europea contro l’inquinamento da plastica, la mail dell’imprenditore bolognese Marco Astorri è intasata dalle richieste di utilizzatori di tutti i continenti. La sua Bio-on, infatti, è forse l’unica azienda al mondo in grado di rimpiazzare decine delle migliaia di versioni di plastica derivata da idrocarburi con una piattaforma di materiali (bio polimero PHAs) di derivazione vegetale e certificati come biodegradabili al 100%. Non a caso in Borsa il titolo Bio-on, sbarcato sul mercato Aim appena tre anni fa a poco più di 6 euro ad azione, veleggia oggi attorno ai 29 euro, con target indicati dalle banche d’affari a 33 euro e passa. Un colpo di fortuna?
«Come imprenditore non posso che rallegrarmene. Come cittadino non apprezzo i divieti, i dazi, le tasse punitive. Spero che la coscienza ambientale si diffonda nella società e che la scelta di soluzioni sostenibili venga dai consumatori. Non mi piace la campagna di demonizzazione della plastica tradizionale, che rappresenta uno dei materiali chiave del nostro tempo. Dobbiamo utilizzarla meglio, evitando di disperderla, e produrne di migliore. Bioon è nata per questo».
Intanto, però, Bruxelles lancia un piano-plastica che prevede entro il 2030 il bando per molti utilizzi, la riciclabilità al 100% per altri e, forse, una tassa sulla plastica inquinante.
«Siamo travolti dalle richieste, per gli impieghi più disparati. Le plastiche sono migliaia e per ciascuna va studiata una diversa formulazione del nostro materiale. Inevitabilmente dovrò rivedere il piano industriale, potenziando gli investimenti e rafforzando la squadra».
Avete una soluzione anche per i famigerati sacchetti da verdura?
«No, le produzioni di massa per il momento non ci interessano. Non avremo mai capacità
produttive adeguate. Io penso che la plastica biodegradabile possa essere introdotta su prodotti di nicchia, dove un maggior costo del 2030% non spaventa consumatori informati e dove i volumi nel mondo non sono i milioni di tonnellate delle plastiche più diffuse». Per quelle quindi l’unica strada è il riciclo?
«Per molti anni ancora, forse 20 o 30, non è immaginabile una completa sostituzione con materiali biodegradabili. Ogni anno produciamo nel mondo 300 milioni di tonnellate di plastica e i consumi saliranno attorno al miliardo entro 20 anni. La bio plastica potrà coprire solo alcune centinaia di migliaia di tonnellate
di fabbisogno. Il riciclo però non risolve il problema: è un processo inquinante, tant’è vero che la Cina, dove finisce la gran parte della plastica usata prodotta in Occidente, ha già detto che da quest’anno non ne accetterà più. In secondo luogo la plastica riciclata è un prodotto scadente, che da anni copre circa solo il 4% del fabbisogno». Su quali impieghi si concentrerà allora Bio-on?
«Abbiamo stretto accordi per fornire le nostre tecnologie ad imprese dell’arredamento, alla Kering per gli occhiali, ad Azko per i rivestimenti navali, ad altre aziende per applicazioni molto specifiche. Produrremo in proprio, invece, le microplastiche usate nell’industria della cosmesi e in quella farmaceutica. L’Ue metterà al bando le microplastiche tradizionali e noi siamo gli unici al mondo a proporre una vera alternativa. Produrremo nella fabbrica di Castel San Pietro che sarà inaugurata in giugno. Abbiamo investito 15 milioni, daremo lavoro a 40 addetti, produrremo usando esclusivamente energia green grazie a un accordo con Hera. Alla luce degli ultimi sviluppi, però, dovremo potenziarlo già dall’avvio».