Indagine sul presente Astorri e Tintinelli
Alle Moline va in scena «45 giri» della coppia di autori
Alberto Astorri e Paola Tintinelli sono due attori che gli spettacoli li pensano, li scrivono, li provano, li testano in varie situazioni e poi li rappresentano. Quel tipo di percorso li fa ricchi di materiali anche estraibili dal contesto e variamente ricucibili. Tornano alle Moline, dopo un «cantiere» di un paio di anni fa dedicato a Pasolini, con Il 45 giri di Astorri e Tintinelli, uno spettacolo fatto come un vecchio disco di un lato A e di un lato B. Entrambe le «facciate» indagano con curiosità il presente utilizzando le arti di un teatro di immaginazione, ispirato al clown, all’acrobata, al fool, al guitto, emarginati dalla società «normale» ma capaci di attingere al serbatoio meraviglioso del sogno, della fantasia. Non a caso i due si sono incontrati nel 2002 in un corso di formazione del festival di Santarcangelo intitolato al felliniano Zampanò.
Lo spettacolo alle Moline, da stasera a domenica (ore 20.30, sabato 20, domenica 16.30) è una piccola antologica delle ultime creazioni e consente di entrare nel loro mondo. Ci racconta Astorri, candidato al premio Ubu 2017 come miglior attore per l’interpretazione di “Un quaderno per l’inverno” con la regia di Massimiliano Civica: «Il lato A si intitola Immaginazione al potere. Sono i primi dieci minuti del penultimo lavoro, Il sogno dell’arrostito, e danno un’idea della nostra poetica che tende a reinventarsi il valore delle cose attraverso la facoltà di vedere oltre la realtà. Per costruire lo spettacolo abbiamo viaggiato in piazze e mercati dell’Emilia con un furgoncino-confessionale raccogliendo desideri, aspirazioni. A Bologna siamo stati nello spiazzo della Stazione delle autocorriere. In scena ci sono due sindacalisti che con l’immaginazione ripensano la loro vita».
Denso di riferimenti è il lato B, Follìar, il primo studio per il loro omonimo ultimo lavoro. «È una riflessione sull’arte della scena. Ci sono due comici, uno cieco e l’altro no, che potrebbero essere Totò e Peppino, ma anche Lear e il suo fool o i due personaggi di Finale di partita di Beckett. Sono in una specie di bunker, simile al carrozzone dei girovaghi di Bernhard in La forza dell’abitudine, e si esercitano in un esercizio apparentemente banale: far saltare una mosca da una lampadina al filo…». Ma si sa che nella banalità, nei margini, che tanto piacciono a Astorri-Tintinelli, c’è sempre nascosta qualche verità.