Scacco Matto, il sapore di un ritorno
Allo Scaccomatto la gioia dei Garusoli con olio di peperone crusco
Mi permetto di dare del «tu» alla cucina di Mario Ferrara. Una cucina che ho amato negli anni e che amo sempre ancora, nonostante una mia assenza di tre e passa anni da via Broccaindosso 63. Ci sono tornato ieri a pranzo con il mio «quartetto»: le persone con le quali negli anni ho condiviso tavole e tavole, bottiglie e bottiglie. Entusiasmi (e delusioni). Ma sempre con la gioia della scoperta e (soprattutto) della risata. Perché la tavola, gira e rigira, deve essere, oltre che piacere, anche divertimento puro. Tre anni e mezzo di assenza, ma la poesia della cucina di Ferrara è rimasta invariata. Credo che potrei (ri)riconoscere un suo piatto tra mille. Perché lui è
quei sapori. Poi, per carità, ne aggiunge anche di altri, di nuovi, studia, si evolve, non ruota su se stesso. Ma ci sono le sue cose che per me hanno un marchio indelebile. La panzanella con alici e mostarda/marmellata di peperoncino è forse il piatto che più lo contraddistingue nel mio cuore. Un piatto di mare che in realtà è un piatto di terra. Il luccichio dell’alice, il rosso mattone della panzanella e il sangue del peperoncino in consistenza alternativa: una botta di sapore che vorresti immediatamente ripetere. Un altro piatto che è Mario, è senza dubbio la Polenta (brodosa), garusoli e olio di peperoni cruschi. Mare/terra/piccante/ liquido. Piatto da stella. Ma, si sa, chi è chiamato a giudicare e dare voti nella guida cartonata di rosso, spesso non guarda nell’anima delle persone, ma guarda (e valuta) sopratutto anche l‘ambiente, che qui, si sa, è semplice, senza pretese. Come lo può essere in tanti altri ristoranti che preferiscono giocare tutto sulla gioia della cucina, piuttosto che sulle «fighetterie» del locale. Dopo la citata alice, con canocchia cruda e gamberi con ristretto di mandarino (l’agrume tornerà con forza devastante in un sorbetto finale, fra i migliori di sempre), passiamo all’unico piatto che, a nostro avviso, per la dispersività e lentezza dei suoi sapori, scendeva sotto la soglia dell’eccellenza, Cannolo di baccalà, crema di cipolla infornata, il suo latte e cipolla in agrodolce. Una bella idea, realizzata a metà, da registrare con due strette metaforiche di bulloni. Primi da alzarsi in piedi (come abbiamo sempre fatto): Spaghetto (Vicidomini, che — detta come va detta — non ha rivali) con nero di seppia al mandarino, calamaro e due mostarde di peperoncino; Chitarrina con alice del Cantabrico, aglio nero e pomodorini appassiti; Risotto agli spinaci con parmigiano e lemon grass (omaggio alla Klugmann). Fra i due secondi un formidabile Collo di daino (cottura per 72 ore a 55 gradi: della serie quando la «bassa» serve per davvero e non solo per comodità del ristoratore), fondo bruno e cipollotto ripieno di patate. Sui 50 euro. Esclusi i vini.