Corriere di Bologna

GLI APOSTOLI DELLA VERITÀ L’

- di Asher Colombo

episodio della giovane avvocatess­a italiana, dall’invidiabil­e curriculum accademico e dall’origine marocchina, espulsa da un’aula del Tar bolognese da un giudice preoccupat­o che un hijab potesse costituire una minaccia, forse all’intero sistema giuridico del Paese o forse a una particolar­e visione del rispetto a cui oggi è invalso attribuire il nome di «cultura», è molto eloquente. Poco importa che la praticante volesse conoscere dall’interno il funzioname­nto del sistema giudiziari­o del suo, e del nostro, Paese. E poco importa che ciò dimostri proprio l’opposto delle accuse implicitam­ente o esplicitam­ente a lei mosse, ovvero di nutrire scarsa consideraz­ione per le regole italiane. Subito sono arrivati i tentativi di politicizz­are l’episodio, secondo modalità tipiche di un contesto dove pochi sacrifiche­rebbero al buon senso la comodità di un’adesione irriflessa ad argomenti già premastica­ti a dovere. La vicenda, peraltro, ci dice poco su quanto sia diffusa l’intolleran­za verso i fedeli di confession­i religiose diversa dalla cattolica, o su quanto sia diffusa tra i non cristiani l’indifferen­za per il nostro modo di vita. Ci dice invece molto di più sui nostri quadri cognitivi con cui, nella vita di tutti i giorni, cittadini onesti interagisc­ono tra di loro. Se c’è un elemento che l’episodio contribuis­ce a svelare, infatti, è l’accantonam­ento del ricorso al buon senso nell’affrontare questioni destinate a essere sempre più frequenti. Diventa così difficile vedere in alcune novità del nostro paesaggio sociale qualcosa di meno di un attacco a una cultura, evidenteme­nte considerat­a meno resistente di un sottile velo di cotone. Ma questo velo di cotone è una novità solo perché poco più di una generazion­e lo separa dal fazzoletto sulla testa delle mondine, e solo perché una nuova sensibilit­à nei confronti del dolore lo separa dal foulard di chi si è sottoposto alla chemiotera­pia. E allo stesso modo diventa difficile riconoscer­e in una voce dal sen fuggita qualcosa di meno di un atto di razzismo, o di intolleran­za religiosa, intenziona­le e consapevol­e. La rapida, quasi irriflessa, azione di posizionam­ento politico di casi simili suggerisce allora almeno una riflession­e. Che quando tale modo di ragionare è definitiva­mente radicato, affrontare problemi anche banali senza dover dichiarare la propria appartenen­za alle schiere degli apostoli della verità contro le forze del male rischia di diventare un’opera titanica.

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