Abbado, la passione e l’impeto
Musicante del mondo L’impeto e la passione
Cos’è questo pezzo? È un piccolo pensiero di ringraziamento a Claudio Abbado e a tutta la musica che ci ha regalato negli anni, prima di andarsene una mattina di quattro anni fa, arrendendosi alla malattia. Ma la musica, lui sapeva che lo avrebbe seguito. Mi piace immaginarlo dirigere da qualche parte lassù, nelle sfere celesti. Per me l’immagine di Claudio è l’orologio (che teneva al polso sinistro) che gli regalò Erich Kleiber. È un maglione rosso appoggiato sulle spalle. Una camicia azzurra, o blu, a seconda dei casi. Dei pantaloni quasi sempre blu invece. Un piccolo neo sopra il lato sinistro del labbro. Una borsa di forma rettangolare, consumata, in pelle scura, con le partiture necessarie dentro. Un pezzo di cioccolato fondente che amava offrire durante la pausa delle prove. Un timbro di voce nobile. Parlava la sua lingua, l’italiano, con un’inflessione da
Hochdeutsch, il tedesco aulico. Claudio era l’indice della mano sinistra portato alle labbra, per indicare un pianissimo più «forte» ancora di quello indicato in partitura. Con lui il pianissimo diventava necessità del dire. Con quella mano riusciva a portare la musica dove voleva lui. In quei movimenti leggerissimi, con i quali accarezzava la musica, era chiuso tutto il suo universo. Con quella mano poteva sollevare la musica, farla librare nell’aria, trascinarla fino a giù negli inferi e poi su fino al sole nascosto dietro le nuvole. A ogni concerto, orecchie, occhi, anime e cuori di musicisti e pubblico salivano sul treno di Claudio per un viaggio verso un’inaudita esperienza d’ascolto. Sempre solo e soltanto al servizio della musica. Mai di se stesso.