UNA VISITA ISTRUTTIVA
Eravamo ancora nell’era a. C., intesa come avanti Casco. Inizio rombanti anni Ottanta. Voglia di correre in sella e nella vita. Un motomondiale anche per le pulci da 50 cc. Molla per i ragazzini con smania di motorino. Con lotta incorporata tra genitori e figli sul sì o no. Sono stato un padre del no. Dopo le solite prediche inutili, un’idea vincente. Mi feci accompagnare in ospedale dal pargolo scalpitante, sottoposto a deviazione in Neurochirurgia per mostrare l’esercito dolente di giovani con la testa rotta e riparata da un faticoso esercizio di bisturi, solo per questo scampati al destino dei veri sfortunati totali, costretti al riposo altrove e per sempre. Domanda dell’imberbe aspirante al cinquantino: «Cosa gli è successo?». Risposta secca del papà sfruttatore della paura: «Tutti caduti in moto». Più delle suppliche e dei divieti genitoriali, potè la fifa. Volare per terra fa male, anche se non si vola in cielo.
In forza di tale ricordo, ho condiviso subito l’idea di un amico sulla possibile utilità della terapia della paura applicata ai ciclisti davanti all’incremento dei guai: 25 per cento in più il numero dei visi spaccati, rimessi in sesto alla Maxillo facciale del Bellaria diretta da Annamaria Baietti. Visto che ammonizioni e multe ottengono tante polemiche e pochi risultati, per frenare quelli di «bici selvaggia» potrebbe essere conveniente metterli davanti alla dura realtà: rompersi purtroppo è facile e rapido, aggiustarsi lento e molto doloroso.
Forse conviene una mossa strategica per far leva sull’istinto di conservazione e il timore del male. Non riguarda i ciclisti che usano le piste riservate, rispettano il codice, usano bici e non rottami, consapevoli di essere dei soggetti deboli e molto esposti al rischio traffico, perciò i primi a sapere che dopo una ventina di giorni di prognosi non viene il ventunesimo di guarigione miracolo: per loro non c’è bisogno di spiegare il tormento di una pedalata che finisce in ambulanza. I destinatari sono gli sconsiderati che con una mano tengono il manubrio e con l’altra usano i cellulare, gimkanano lungo i portici, se piove tirano su un cappuccio e si isolano dal mondo intero, di notte diventano punti neri. Sono i pasdaran che conoscono un’unica regola: i divieti solo per gli altri. Invece delle multe, propongo visite obbligatorie in ospedale e assistenza ai traumatizzati. Un educational shock per non rovinare il bello della bici. Oltre che della vita. Con risparmio di dolore e di spesa sanitaria.