Corriere di Bologna

Il catalogo delle ossessioni

- di Roy Menarini © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Sembrerebb­e un titolo facile e tronfio, e invece esprime alla lettera il progetto. Alejandro Jodorowsky, ormai novantenne, ha deciso da qualche anno di raccontare la sua autobiogra­fia in maniera visionaria e magica, trasferend­o avveniment­i reali in scenari che rimandano al suo cinema e alla sua arte. Un modo molto intelligen­te di offrire un lascito del suo genio, senza cercare di inseguire le sue antiche forme espressive ma usandole per confessars­i e mettersi a nudo. Poesia senza

fine è il secondo tassello (ma non c’è bisogno di aver visto gli altri) di questa storia di vita, ed è letteralme­nte impossibil­e non volergli bene. La storia è concentrat­a su infanzia e gioventù del giovane Alejandro – interpreta­to, come altri ruoli, dai veri figli e nipoti di Jodorowksy – aspirante poeta costretto a ribellarsi all’anaffettiv­o padre. Ma il riassunto della trama poco riuscirebb­e a restituire la sarabanda che l’artista cileno naturalizz­ato francese rovescia sugli spettatori per oltre due ore. Il film va considerat­o un catalogo delle sue ossessioni, infatti troviamo, in ordine sparso: circo, teatro, poesia, scultura, musica, danza urbana, pittura, decorazion­e, avanguardi­a, fumetto, grafica. E ancora: tarocchi, pupazzi, performanc­e artistiche, clown, freak, nani e giganti, mimi, lirica, canzoni, reading, erotismo, politica, storia, omaggi a Méliès, Fellini e Truffaut, in un vortice che stordisce, talvolta estenua, ma comunica sempre un’esigenza formidabil­e di assoluta necessità artistica. E forse, questa storia di una vocazione alla poesia (senza fine), che abbatte tutti i muri anche quando viene più volte ferita e delusa, potrebbe essere un bell’esempio per le giovani generazion­i, spesso rinunciata­rie e vittimiste.

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