Villalta in contropiede: «Dopo una rissa ci si scusa e basta»
L’ex presidente: «Porelli teneva allo stile, l’aspetto educativo conta. Alessandro deve dare l’esempio»
Renato Villalta, cos’è che l’ha colpita di più della rissa di domenica sul parquet del PalaDozza?
«Premesso che certe cose accadevano ai miei tempi, si verificano oggi e potranno capitare anche in futuro, non condivido affatto le polemiche successive». In particolare cosa?
«Intanto sono assolutamente contrario alla giustizia fai da te: non mi piace affatto, non è il mio modo di pensare e neppure dello sport e degli sportivi. Questo aspetto mi ha colpito negativamente. Non posso sentire il papà, di cui pure sono stato compagno di gioco e sono amico, dire che se non si fosse mosso il fratello sarebbe sceso lui». È stata una situazione molto istintiva e impulsiva.
«Un incidente, ma da professionista devi essere educativo. Non possiamo incitare a farsi giustizia da soli. Non m’interessa fare la moviola, guardare chi ha fatto cosa…». Trova fuori luogo il ricorso del club bianconero?
«L’avranno fatto tenendo conto del regolamento in vigore, ai miei tempi forse l’avvocato Porelli non l’avrebbe fatto: hai preso tre giornate, stai fermo tre giornate. Non solo. Avrebbe stigmatizzato Il club però non è stato proprio in silenzio.
«Premesso che il giocatore è davvero forte, non vorrei che ci fosse troppa indulgenza e timore nei confronti della Gentile’s family. Ai miei tempi la linea del club era sì quella di vincere, ma anche di essere corretti, rispettare gli avversari, chiedere scusa quando era il caso, dare un esempio ai giovani e al pubblico. Giusto o sbagliato ci s’immedesimava in questo». Quindi l’avvocato…
«Mi avrebbe cazziato, dicendomi che dovevo essere un esempio positivo e quindi multa per la rissa, multa per la squalifica ed eventuale ricorso a mie spese. Del resto i giocatori sono pagati per giocare. Ho sempre creduto nella componente formativa». Anche lei sarà stato squalificato o espulso, no?
«Solo espulso, una volta, a Reggio Emilia, presi un pugno in faccia, mi cacciarono e Porelli mi multò: feci il massimo, sì».