A Castenaso gli autodidatti del sapore
A Castenaso un locale originale con grande cantina e cucina del territorio
Sali in macchina fiducioso. Segui le istruzioni vocali della signorina che ti parla con voce metallica attraverso il navigatore. Io, oramai,per strada, mi fido solo di lei, entità non ben classificabile, che mi porta però per mano fino al mio tavolo. È domenica mattina, l’unico giorno in cui a pranzo ci si può accomodare sugli sgabelloni di questo locale, che assomiglia a una «ferramenta del piacere» (per il resto della settimana sono aperti solo alla sera). Partiti da Bologna, arriviamo a destinazione senza particolari intoppi. Il luogo porta, nella sua prima parte del nome, «Officina», qualcosa di molto vicino all’onomatopea. Quando ci «sbatti» contro, hai, effettivamente, capito che sei arrivato: vista da fuori è infatti molto simile a un’officina. Ma a giudicare dalle auto parcheggiate fuori e dalla telefonata che ci annunciava: «Sì, c’è un ultimo tavolo disponibile», capisci che, sebbene, non subito dietro l’angolo (parlo da una posizione di Bologna centro), è un luogo annotato ed evidenziato su molte agende. Perché? La prima cosa che mi circola nella mente è che lui e lei (i titolari) sono, e lo dico così — subito — a colpo d’occhio, due belle persone. Autodidatti. «Qualifica» che conta soprattutto riferito alla chef. Non perché curare con garbo, e onestà di ricarichi, una cantina di tali dimensioni sia un lavoro semplice. Tutt’altro. Solo che, una volta che il vino impari a conoscerlo, ad amarlo, a sentirlo, a raccontarlo con garbo e senza spocchia al tavolo (onore al merito), come accade qui, il gioco è (quasi) fatto. Diverso il discorso della cucina che ogni giorno va ricostruita, fatta pulsare e portata a tavola, con tutte le varianti del caso. Il locale ha non pochi coperti: tavoli, inframezzati da librerie piene di vino e di leccornie alimentari. Qui, lo dico subito, la proposta dei vini è di quelle superiori. D’accordo, ci sono anche le bottiglie che noi fanatici snobbiamo, ma l’80% delle proposte sono di quelle che «le apriamo tutte?». Peccato che il cartone bianco per terra con sopra scritto Clos Rougeard fosse vuoto... («cartone personale», specifica il titolare), ma quanto, giusto per fare un esempio, al Piemonte del cuore firmato da Rinaldi, ti togli tutte le voglie. E poi bollicine di Benoît Lahaye... Capitolo cucina: territorio con qualche piatto ripensato. Vincono i tortellini in brodo di manzo e cappone (bel brodo con le «chiazze» e tortellini saporosissimi). Buoni i Tortelloni di Zucca, burro e acciughe (sul filo dell’equilibrio fra sapidità, dolcezza e grassezza). Tagliatelle al ragù (condimento in là di sale). Secondi. Va bene (a volte) la cottura a bassa temperatura, ma la carne andrebbe fatta rivivere col fuoco della padella prima dell’impiattamento. Buono il Lomo di Baccalà, patate e carciofi fritti, «dosato» in ogni sua parte. Dolci di casa. E di cuore. Conto sui 40/45 euro. Vini esclusi. Da tornarci.