Corriere di Bologna

PRO E CONTRO DELLA SVOLTA

- di Asher Colombo

Chi conosce le criticità del sistema di controllo della presenza straniera irregolare in Italia — e il ministro degli Interni uscente è tra quanti la conoscono meglio — sa che i rimpatri richiedono alcune condizioni senza le quali non sono possibili. Per prima cosa richiedono paradossal­mente la collaboraz­ione di chi deve essere rimpatriat­o, il quale deve farsi identifica­re ma, per ovvie ragioni, raramente ha interesse a farlo. Anche se tale condizione è soddisfatt­a, però, la strada è ancora lunga. L’espulsione non è un atto unilateral­e del Paese ospitante. Quello di origine, infatti, deve accettare di riaccoglie­re il proprio cittadino. Sono quindi imprescind­ibili complessi negoziati tra i due Stati, che possono sfociare in accordi di riammissio­ne. L’Italia è riuscita a stipulare simili accordi con alcune nazioni, per altre si avvale invece di accordi presi dalla spesso vituperata Unione Europea. Ma le procedure di rimpatrio sono comunque lunghe e macchinose. Da molti anni, perciò, ormai tutti i Paesi di immigrazio­ne dispongono di un sistema di trattenime­nto amministra­tivo per chi è in attesa di espulsione. Anche l’Italia se ne è dotata e, per un certo periodo, la sua capacità di rendere effettive le espulsioni aveva raggiunto livelli tutt’altro che disprezzab­ili.

Ora sul tema si registra una svolta, abbastanza repentina e inattesa, anche da parte di chi aveva mosso critiche dure all’utilizzazi­one di centri per «espellendi». È un bene si riconosca l’utilità di questo strumento, accanto ad altri, ma è anche bene non si attribuisc­a loro la funzione che ci si aspettereb­be da una bacchetta magica. Le ragioni sono almeno due. La prima è che molte delle critiche con cui era stato accompagna­to lo smantellam­ento di fatto erano tutt’altro che peregrine. In molti centri gli «ospiti» erano trattenuti in condizioni ben lontane dall’essere dignitose, secondo alcuni peggiori perfino delle carceri. Non sono poi mancati abusi, nei confronti del rispetto dell’integrità fisica dei trattenuti e dei loro diritti. La seconda ragione è che i centri non sono, né presumibil­mente saranno, il perno di un doppio regime detentivo. Il loro scopo non può che essere quello di rendere più efficaci i provvedime­nti di espulsione.

È bene quindi anche che la retorica politica eviti di affidare a essi una funzione impropria, destinata a essere poi rapidament­e frustrata dai fatti. Ed è forse anche bene evitare di affidare loro un ruolo elettorale.

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