Telecamere-gate Anzola, nei guai il capo dei vigili
Avvisi di fine indagine per altre 3 persone, tra cui un dirigente del Comune
Quattro persone, tra cui il comandante della Municipale di Terre d’Acqua, sono indagate a vario titolo per frode in pubbliche forniture e falso in atto pubblico: certificarono la regolarità del progetto per l’impianto di videosorveglianza comunale per avere i fondi della Regione. Il comandante dei vigili è accusato anche di false dichiarazioni al pm.
Dovevano garantire più sicurezza ai cittadini di Anzola dell’Emilia, quelle 7 telecamere costate 156mila euro e previste dal progetto «Passi Sicuri». In realtà hanno dato il via a una serie di polemiche in consiglio comunale, a un’inchiesta della Guardia di Finanza e infine a quattro avvisi di fine indagine notificati nei giorni scorsi a due dirigenti comunali, al rappresentante legale della società vincitrice dell’appalto e al perito industriale che ne certificò la conformità.
Si tratta del comandante del corpo di polizia municipale Terre d’Acqua Giampiero Gualandi, indagato per falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale e per aver reso false informazioni al pm; del rappresentante legale della FGS srl Giovanni Federici, accusato di frode in pubbliche forniture perché avrebbe installato «un impianto difforme da quanto indicato nel capitolato di gara». In concorso tra loro sono poi indagati il perito industriale Uber Demola e il dirigente dell’Area tecnica del comune di Anzola Davide Fornalè: secondo la pm Michele Guidi sarebbero responsabili di falso ideologico in atto pubblico per aver certificato la conformità dei lavori che in realtà presentavano notevoli difformità quantitative e qualitative.
La vicenda partì da un esposto di alcuni consiglieri comunali di opposizione della precedente legislatura che, già in consiglio comunale, avevano espresso remore sulla regolarità di quel progetto, nonché sulle posizioni scelte per le telecamere che dovevano garantire la sicurezza dei cittadini, ma vigilando su tre scuole, due centri civici, il municipio e il cimitero.
La Guardia di Finanza ha iniziato così a mettere il naso tra le carte ricostruendo la vicenda. Nel 2009 la Regione aveva messo a bando una serie di contributi da erogare agli enti locali per progetti per la sicurezza del cittadini. Il Comune di Anzola partecipò con il progetto denominato «Passi sicuri tutela delle persone più deboli per una comunità più libera» che prevedeva, oltre all’installazione di un impianto di videosorveglianza, una serie di attività volte a incrementare la percezione di sicurezza dei cittadini, come sportelli dedicati alle fasce deboli e campagne di sensibilizzazione, per un costo complessivo di 180.000 euro, di cui la Regione avrebbe erogato il 40%. Secondo le indagini della Guardia di Finanza, solo l’impianto di videosorveglianza fu realizzato e il Comune rendicontò i 156.000 euro spesi, ricevendo indietro dalla Regione il 40%.
Ma il consulente tecnico incaricato dalla Procura ha certificato che l’impianto non è mai stato conforme a quanto stipulato nel contratto: alcuni quadri elettrici sarebbero stati addirittura privi di prese, altri ne avrebbero avuti 3 e non 5, la linea elettrica mai realizzata, i pali dedicati alle telecamere mai montati, più una serie di altre gravi inadempienze. Ma non è tutto perché, per non perdere i soldi erogati dalla Regione, il perito e i dirigenti comunali, secondo la pm Michela Guidi, avrebbero a quel punto fatto carte false per certificare la regolarità di un progetto «mai portato a compimento». Il comandante Gualandi avrebbe attestato con una nota al Servizio Politiche Sicurezza della Regione il 23 marzo del 2010 che le attività avevano avuto inizio secondo i tempi e le modalità previste, mentre invece la Giunta comunale, come dimostra la delibera n. 65 del 10 aprile 2012 pubblicata sul sito del Comune, solo due anni dopo diede il via libera al progetto esecutivo.
Nel 2014, poi, una volta aperte le indagini, la Procura interroga il comandante della municipale Gualandi, che dichiara di aver saputo della realizzazione dell’impianto di videosorveglianza solo a maggio 2012, quando in realtà, scrive sempre la Procura, «ne era a conoscenza già dal 5 novembre 2011, quando lui stesso con formale missiva richiedeva alla Regione una proroga dei termini per la conclusione del progetto».
L’accusa L’impianto risulta difforme da quanto indicato nel capitolato di gara