Spielberg, lezioni di cinema
Non c’è verso. Spielberg è il regista più discontinuo del mondo, e anche se ormai è piuttosto prevedibile nel suo alternare film storiografici (Munich, Lincoln, Il
ponte delle spie) ad altri blockbuster spesso disarmanti (Il GGG), non sai mai che cosa aspettarti. Di sicuro è ormai un maestro, e dunque è legittimato a offrire lezioni di cinema come questa. Anzi è proprio grazie a una prodigiosa «conferenza per immagini» di gran linguaggio cinematografico che può permettersi un film di vecchio stampo liberal e squadrato come questo. La storia narra l’affare dei Pentagon papers, ovvero lo scandalo che rivelò come ben quattro presidenti degli Stati Uniti (Kennedy compreso) avessero scatenato e proseguito la guerra in Vietnam pur sapendo che non avrebbe portato alla vittoria, mentendo ripetutamente alla nazione e al Congresso. La divulgazione dei documenti nel 1971 partì dal New York Times,e proseguì grazie al coraggio del Washington Post, del suo editore Katharine Graham, e del suo direttore Ben Bradlee. Data per scontata la nostalgia di un giornalismo idealista e investigativo probabilmente oggi meno frequente (anche se è grazie alla stampa che tuttora le menzogne di presidenti e politici vengono svelate), il film possiede altre frecce al suo arco: una è l’attenzione alla figura femminile, mirabilmente interpretata da Meryl Streep, che prende decisioni scomode lottando contro un sistema di potere maschile che le era stato comodo fino a quel momento. E l’altro è il coro di attori eccezionali che circondano la diva e Tom Hanks: Michael Stuhlbarg Bob Odenkirk e Carrie Coon. Nomi di qualità che dicono molto a chi segue le serie televisive e poco a chi segue vagamente i caratteristi su grande schermo.
«The Post» di Steven Spielberg