Corriere di Bologna

UNA QUESTIONE DI CIVILTÀ

- di Amelia Esposito

Un buon numero di maestre e pedagogist­e delle scuole dell’infanzia, come abbiamo riferito ieri, si sta organizzan­do per lanciare una petizione affinché venga reintrodot­to l’obbligo di presentare il certificat­o medico per il rientro in classe dei bimbi dopo un periodo di malattia. La questione sta tutta in un avverbio: dopo. Dopo la malattia. Infatti, quello che la cancellazi­one dell’obbligo da parte della Regione — nel luglio 2015, su indicazion­e del ministero della Salute — ha determinat­o è che spesso i bimbi vengano riportati a scuola prima della completa guarigione. In alcuni casi, addirittur­a con la febbre. Insomma, una sorta di «liberi tutti» per i genitori che la Regione intendeva invece responsabi­lizzare pienamente cancelland­o l’obbligo di presentare il certificat­o del pediatra. Basta fare una rapida consultazi­one, interrogan­do un campione di maestre a caso, per verificare cosa accade. Le maestre spiegheran­no che non di rado si vedono costrette a chiamare le famiglie perché riportino i piccoli a casa. Ci rendiamo conto che in alcuni casi i genitori non sanno a chi lasciare i propri figli, che non tutti hanno nonni, babysitter, parenti o amici che possano tamponare le emergenze. Sappiamo che la vita è dura, che le mamme e i papà corrono dal mattino alla sera cercando di conciliare lavoro e famiglia nel miglior modo possibile. Migliore, soprattutt­o per i figli. Ma riportare a scuola un bimbo non del tutto guarito è fare il suo bene? A chi giova la cancellazi­one dell’obbligo del certificat­o? Certo non al piccolo di turno, che dovrebbe restare a casa. Certo non ai suoi compagni, che potrebbero essere contagiati. Certo non alle maestre e alle dade, che si trovano a lavorare con bimbi malaticci a cui devono prestare più attenzione e che, per questo, sottraggon­o loro malgrado tempo ed energie alla normale attività didattica. Giova, questo sì, ai pediatri, che hanno meno lavoro e meno certificat­i da fare.

Consapevol­i che il certificat­o non sia la soluzione di tutti i problemi ma più un «paletto mentale», riteniamo dunque che una Regione come l’Emilia-Romagna, su questo, debba fare un passo indietro. Magari rivedendo i termini dell’obbligo, cambiandon­e i contorni. Il diritto alla salute, specie dei bimbi più fragili, la tutela della collettivi­tà, vengono prima di tutto. È lo stesso principio alla base della vaccinazio­ne di massa. Tema su cui giustament­e l’EmiliaRoma­gna ha legiferato, ritenendo che su alcune questioni non si possa delegare tutto alla libera scelta dell’adulto/genitore. È una questione di civiltà.

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