UNA QUESTIONE DI CIVILTÀ
Un buon numero di maestre e pedagogiste delle scuole dell’infanzia, come abbiamo riferito ieri, si sta organizzando per lanciare una petizione affinché venga reintrodotto l’obbligo di presentare il certificato medico per il rientro in classe dei bimbi dopo un periodo di malattia. La questione sta tutta in un avverbio: dopo. Dopo la malattia. Infatti, quello che la cancellazione dell’obbligo da parte della Regione — nel luglio 2015, su indicazione del ministero della Salute — ha determinato è che spesso i bimbi vengano riportati a scuola prima della completa guarigione. In alcuni casi, addirittura con la febbre. Insomma, una sorta di «liberi tutti» per i genitori che la Regione intendeva invece responsabilizzare pienamente cancellando l’obbligo di presentare il certificato del pediatra. Basta fare una rapida consultazione, interrogando un campione di maestre a caso, per verificare cosa accade. Le maestre spiegheranno che non di rado si vedono costrette a chiamare le famiglie perché riportino i piccoli a casa. Ci rendiamo conto che in alcuni casi i genitori non sanno a chi lasciare i propri figli, che non tutti hanno nonni, babysitter, parenti o amici che possano tamponare le emergenze. Sappiamo che la vita è dura, che le mamme e i papà corrono dal mattino alla sera cercando di conciliare lavoro e famiglia nel miglior modo possibile. Migliore, soprattutto per i figli. Ma riportare a scuola un bimbo non del tutto guarito è fare il suo bene? A chi giova la cancellazione dell’obbligo del certificato? Certo non al piccolo di turno, che dovrebbe restare a casa. Certo non ai suoi compagni, che potrebbero essere contagiati. Certo non alle maestre e alle dade, che si trovano a lavorare con bimbi malaticci a cui devono prestare più attenzione e che, per questo, sottraggono loro malgrado tempo ed energie alla normale attività didattica. Giova, questo sì, ai pediatri, che hanno meno lavoro e meno certificati da fare.
Consapevoli che il certificato non sia la soluzione di tutti i problemi ma più un «paletto mentale», riteniamo dunque che una Regione come l’Emilia-Romagna, su questo, debba fare un passo indietro. Magari rivedendo i termini dell’obbligo, cambiandone i contorni. Il diritto alla salute, specie dei bimbi più fragili, la tutela della collettività, vengono prima di tutto. È lo stesso principio alla base della vaccinazione di massa. Tema su cui giustamente l’EmiliaRomagna ha legiferato, ritenendo che su alcune questioni non si possa delegare tutto alla libera scelta dell’adulto/genitore. È una questione di civiltà.