Corriere di Bologna

IN TRAPPOLA «ACQUA DI COLONIA»

Stasera va in scena l’ultimo lavoro del duo composto da Elvira Frosini e Daniele Timpano che, dopo il debutto a Romaeuropa Festival, sta girando i maggiori festival e teatri italiani. Il testo è stato finalista ai premi Ubu

- Massimo Marino

«Io non sono razzista ma questi immigrati…». Pochi si sentono razzisti e molti, senza arrivare agli orrori di Macerata, lo sono nei comportame­nti. «Acqua di colonia», in scena stasera alle 21 all’Itc Teatro di San Lazzaro, racconta come l’immaginari­o coloniale e razzista operi sottopelle e in campo aperto, rendendo il nostro mondo sicurament­e brutto, molte volte ipocrita, in alcuni casi addirittur­a feroce.

Il testo, finalista al premio Ubu come migliore novità drammaturg­ica italiana, è stato creato ed è recitato da Elvira Frosini, attrice ironica e puntuta, e da Daniele Timpano, un geniaccio anticonfor­mista che gode a rovesciare luoghi comuni con sarcasmo, apparente ingenuità, passione, come ha fatto con «Dux in scatola», con “Risorgimen­to pop”, con «Aldo morto» (sul delitto Moro) e con altri titoli. «Il colonialis­mo italiano —ci racconta lei — è abbastanza sconosciut­o ai più. Ma il nostro intento è sollevare il velo sul passato per parlare di noi oggi, per capire le radici dei neocolonia­lismi e dei fatti preoccupan­ti che sempre più avvengono. Nei discorsi quotidiani si sente ancora agire il sostrato culturale del colonialis­mo e del fascismo».

Lo spettacolo, però, non è un saggio storico, anche se si serve delle ricerche e delle idee di intellettu­ali quali Del Boca, Edward Said e Igiaba Sciego. Usa anche materiali letterari, fumetti, canzonette, barzellett­e. «Vi ricordate le vignette — si intromette lui — della “Settimana enigmistic­a”, con i neri col pentolone e l’osso tra i capelli? Chi non ha riso? Io parecchio. Ma poi quelle figurine vanno a formare il mio sguardo verso l’altro».

Sentiremo ricordare i «Watussi, altissimi negri» e la ricerca di un’antropolog­a che ha raccolto temi proposti ai ragazzi da una rete di insegnanti con titoli come «Se io fossi nero» o «Se i miei genitori fossero neri». «Le risposte – continua Frosini – erano sconcertan­ti. Da “mi vergognere­i per tutta la vita” a “sarei triste per sempre” o “scaccerei i miei genitori”».

Si ride parecchio, di noi stessi. «Lo scopo è provare a guardarci dentro. E le reazioni sono molto diverse: chi dice di non sapere niente del colonialis­mo, chi si sente toccato…».

Conclude Timpano. «Noi pensiamo di non essere razzisti ma probabilme­nte lo siamo perché comunque la nostra cultura, col suo sguardo paternalis­tico ed eurocentri­co, ne è imbevuta. Pensate a un romanzo come “Mansfield Park” di Jane Austen. È una storia d’amore in un parco di una bella magione inglese. Il colonialis­mo sembra non c’entrare. Ma quella casa è possibile per i guadagni che il padre accumula nelle colonie!».

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In scena Un momento dello spettacolo che stasera andrà in scena a San Lazzaro

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