Murgia, che bella sorpresa Empatia di una scrittrice
Trionfa «Quasi Grazia», viaggio sentimentale nella vita di Deledda
La bella sorpresa è lei.
Quasi Grazia, con Michela Murgia nella parte di Grazia Deledda, dal racconto lungo di Marcello Fois (Einaudi), poteva essere un semplice, didattico omaggio di una scrittrice sarda a un’altra scrittrice della sua stessa terra, nata un centinaio di anni prima. Una rivisitazione di una chiusa cultura isolana che andava confrontandosi con i tempi moderni e di una storia di difficile affrancamento femminile, senza una specifica qualità teatrale. E invece l’autrice di Accabadora non solo si lascia coinvolgere dal personaggio amato, ma trascina gli spettatori con una recitazione sempre convincente, ora nervosa, ora pungente, ora desolata, mutevole come i sentimenti e le situazioni che narrano, in tre brevi quadri, la vicenda umana e culturale di Grazia Deledda.
La regia di Veronica Cruciani, nella produzione di Sardegna Teatro, crea una scena mobile: alcuni pannelli, spostati variamente, delineano tre ambienti e, nei cambi, che rappresentano salti di tempo, rivelano sotto luci espressioMannias, fantasmi, inquietudini, maschere rassomiglianti ai personaggi delle novelle di Deledda, a raffigurare un ribollire interiore.
A Michela Murgia interessa sottrarre Grazia Deledda dal santino un po’ sbiadito di donna sarda, scrittrice forse per caso, verista o decadentista. Le interessa rivelarne la densità umana e l’immaginaniste rio moderno, gotico, inquieto. E ci riesce, con l’ausilio di Marco Brinzi nella parte dell’affezionato, tenero marito, un sostegno per le battaglie della scrittrice, Valentino il fratello e altri personaggi, Sohfolo Kone in altre parti.
Vediamo l’addio alla madre, una incisiva Lia Careddu che incarna il vecchio mondo isolano. Grazia segue il marito in continente, con recriminazioni della donna, una vedova tutta in nero, sempre con un occhio a «cosa dirà la gente», chiusa nell’ostinato rifiuto di una vita al di là degli orizzonti tradizionali. Ma Grazia, con sfida scandalosa per i tempi da parte di una donna, ha scelto di cercare la libertà attraverso la scrittura. La seguiamo a Stoccolma, prima della consegna del premio Nobel, alle prese con un giornalista che la intervista insinuando, come molti in Italia, che ci sia un errore, svalutandola, trattandola da donnetta. In questa e nella scena finale, la rivelazione della malattia che la porterà alla morte, il marito è un sostegno, che solo nel momento dell’addio cederà per strazio.
Lo spettacolo fila raccolto, toccando sempre i tasti giusti. Trasforma il biopic teatrale in un viaggio sentimentale guidato da un forte senso di empatia, di rispecchiamento umano e civile, fino agli applausi entusiastici di un teatro Laura Betti di Casalecchio traboccante di pubblico.