La danza filosofica secondo Sieni
La coreografia di Virgilio Sieni rivela l’utopia di una società fragile
una danza filosofica, quella di Virgilio Sieni. Politica se volete. Senza proclami: tutto è affidato allo scavo del corpo, alla dissezione del movimento, alla ricerca dei suoi snodi e delle sue figurazioni «archeologiche», movimenti depositati nella struttura articolare, che possono aprirsi come radure e rivelarci qualcosa di nascosto con uno slogamento, una «pietà», un avanzare a braccia aperte come in attesa, accoglimento, resa, crocifissione. Il solista si stacca dall’insieme, avanza spesso in equilibrio precario che somiglia a un procedere disossato, e nel gruppo ritorna, riassorbito, aiutato, manifestando l’utopia di una società capace di vedere e ascoltare la fragilità, la differenza.
Tutti questi elementi ritornano nell’ultima sua produzione, Petruška di Stravinskij al Teatro Comunale, con l’orchestra e la direzione musicale di Fabrizio Ventura. Il famoso brano presentato dai Balletti Russi nel 1911 con Nijinsky come protagonista, è preceduto da una meravigliosa coreografia su un pezzo di Giacinto Scelsi del 1963,
Chukrum. Mentre l’orchestra si addentra e sospende in facorpi. sce sonore e esplorazioni timbriche estatiche, oltre un velario trasparente si muove, si espande e si ritrae una massa primordiale, come un corpo indistinto immerso nel liquila do amniotico.
Ogni tanto da questa medusa emergono, sfumati, ectoplasmi di corpi, colorati da teli di tinte manieriste, con scuri arti che paiono voler forare membrana. È un respiro, una lotta alla definizione che sembra guardare a Francis Bacon o alla caverna di Platone, al luogo dove tremolanti essenze iniziano a rifrangersi in
Meno di venti minuti folgoranti.
Petruška fugge dalla tradizione. La storia della marionetta da baraccone innamorata del fantoccio di una ballerina, contrastato dal terribile manichino del Moro, diventa un movimento di gruppo che sembra celebrare un rito, un gioco, un sacrificio, richiamando il clan del Sacre du
printemps che vedemmo tre anni fa al Comunale.
Il trucco trasforma i meravigliosi interpreti, Jari Boldrini, Ramona Caia, Claudia Caldarano, Maurizio Giunti, Giulia Mureddu, Andrea Palumbo, in spettri dagli occhi cerchiati di nero, arabescati Pulcinelli tiepoleschi, creature di vento che attraversano veli trasparenti che non riescono a delimitare le stanze. Dal gruppo si stagliano i personaggi e vengono riassorbiti, in un’esplorazione della fragilità, in assoli ubriachi di marionette slogate senza più il governo dei fili. L’orchestra, non sempre inappuntabile, smorza in rigore analitico le sonorità da fiera. Le figure pullulano, evadono, aiutano, si sospendono, esplorando sotto le maschere l’anima che migra dal corpo, aereo fantasma di un presente inospitale.