Corriere di Bologna

«Il passeggero ideale? Chi saluta quando sale»

- F. B. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Il senso di libertà, la flessibili­tà negli orari e il testarsi con nuove sfide sono alla base della scelta di mettersi al volante di Grazia e Maura. Stando alle testimonia­nze delle autiste intervista­te, sembra non esserci né da parte dei passeggeri né degli autisti alcun pregiudizi­o nei loro confronti nonostante siano alle prese con un lavoro tradiziona­lmente maschile.

Maura Mazzieri, com’è nata la decisione di mettersi al volante?

«Lavoravo in uno studio notarile, ma avevo l’esigenza di avere una famiglia e cercavo un part time che non trovavo. Mi era appena nato un bimbo, quando ho avuto notizia del concorso in Tper. Ero titubante, non sapevo se sarei stata all’altezza del compito, ma mi sono lanciata. E a quarant’anni mi sono messa nuovamente in gioco. È stata una manna dal cielo».

Non la spaventava dover immergersi quotidiana­mente nel traffico cittadino?

«Più che altro ero preoccupat­a per la responsabi­lità di dover trasportar­e 50-100 persone alla volta. Ma i colleghi mi hanno tranquilli­zzata e ho preso fiducia». Le difficoltà maggiori del guidare un bus?

«Le curve, per l’ingombro e lo “scodamento”, perché la parte finale del mezzo va nel cono d’ombra e non è semplice». Le strade peggiori?

«Collegio di Spagna, Frassinago, Pizzardi: ci sono passaggi millimetri­ci e gli snodati arrivano a misurare 18 metri».

Ha mai sentito addosso lo stigma del pregiudizi­o sulle mancanze delle donne al volante?

«Mai, ma forse perché lavoro in una città emancipata, piuttosto soffro l’inciviltà di certa gente». Cosa ama e cosa no, di questo lavoro?

«Mi piace il fatto che si tratti di un lavoro dinamico, che ci lascia del tempo libero. Mi piace la gente che ringrazia e che sorride. Non mi piace guidare con il maltempo e soprattutt­o non mi piacciono gli incidenti che si vedono. Sono tanti. Ed è difficile abituarsi. Non amo nemmeno i diverbi tra gli utenti». Come si comporta, in quest’ultimo caso?

«Bisogna lasciar correre, e se diventano gravi, chiamare la centrale operativa».

Ha cambiato modo di guidare l’auto, da quando è al volante anche dei bus?

«Sono diventata più attenta. In bus è in fondamenta­le l’uso degli specchi. E ora quando guido l’auto li cerco in alto e non li trovo. Poi quando vedo persone ferme per strada, mi viene da accostare, salvo poi ricordarmi che sono in automobile». Che messaggio vorrebbe arrivasse ai passeggeri?

«Che noi stiamo rendendo un servizio che altre città non hanno. I passeggeri dovrebbero essere contenti. Invece a volte sembra che siamo lì solo per portare a casa uno stipendio. Non è così: ce la mettiamo tutta per dare il massimo». Qual è il passeggero ideale?

«Quello che saluta, quando sale. Mi fa così piacere. E se scambia anche due parole, ancora di più. Le gentilezze, un “buon giorno” e un “buona sera”, fanno molto piacere». Tornerebbe al suo vecchio lavoro? «No, meglio il traffico della scrivania».

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