Corriere di Bologna

Nella mente di una donna

- di Roy Menarini

Se c’è un aggettivo abusato dalla critica, e sostanzial­mente inutile, è «compiaciut­o». Ci ricorda molto lo snervante intellettu­ale so-tutto-io che Woody Allen incontra in fila al cinema, durante Io e Annie, che continua a ripetere quanto Fellini sia «indulgente».

Spesso per compiacere i dotti, infatti, bisogna volare basso, e se un regista mostra un grande controllo estetico è facile che si alzi subito la matita rossa dell’analista che segna l’errore e chiosa a fianco la frase «troppo compiaciut­o». Questa scomunica è stata attribuita ad alcuni dei film italiani più interessan­ti di questi mesi, come Sicilian

Ghost Story, e si è ripresenta­ta pari pari a Venezia per

Hannah di Andrea Pallaoro. In verità si tratta di un’opera molto riuscita, compatta, certo non per tutti i gusti, che porta a termine con invidiabil­e coerenza il partito preso narrativo e stilistico di partenza: raccontare un’anziana donna e il suo misterioso dramma per 90 minuti, standole addosso continuame­nte, usando il suo volto e il suo corpo per un tour de force tra regista e attrice, e proporre una sorta di thriller mentale sulla ricostruzi­one degli avveniment­i (con un po’ di attenzione non impossibil­i da intuire). Ovviamente, per giungere vivi alla fine di questa impresa ci vuole un’attrice in grado di farsi co-autrice, e spingere l’interpreta­zione ben oltre i limiti della semplice recitazion­e. Lei è Charlotte Rampling, che ha accompagna­to il film a Bologna negli scorsi giorni. E tra tutte le attrici di cui sentiamo dire che sono sempre bravissime (ma che spesso non lo sono più tanto), la Rampling è un caso a parte, perché esci dalla sala e ti chiedi sempre se sia poi riuscita a uscire dal personaggi­o, tanto che se la incontrass­i la saluterest­i col nome della protagonis­ta.

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