Tempi perfetti della commedia Gli interpreti sono la meraviglia
Convince «Li buffoni» di Nanni Garella con i pazienti psichiatrici sul palco
Le case sono di cartone e di lamiera. Tra di esse certe volte spira un vento forte, metaforico soffio di tempesta. Ogni tanto i traffici quotidiani di quel gruppo di diseredati di periferia si rilassano per intonare tra luci espressioniste un motivetto d’antan. Nanni Garella ha ambientato Li buffoni, farsa del ‘600 di Margherita Costa, in uno dei tanti slum di immigrati dei nostri tempi.
È una comunità in cui vigono regole quasi tribali, con un boss barese che parla come Banfi, la sua fidanzata marocchina di Fez soprannominata Fessa, una veccia serva albanese e una ganga pluriregionale con il Lungo, il Tordo, il Grasso, il Gobbo. Intorno a loro girano altri personaggi pittoreschi, che non si sottraggono mai all’intrallazzo, all’amorazzo, alla battuta a doppio senso da avanspettacolo o decisamente inclinata al turpiloquio. Si mangia poco, anche se si va a caccia (di topi e corvi) e si sogna il cibo con barocche elencazioni. Michelino e il Croatto sono due turchi che si erano rotti di lavorare in Germania. La mezzana è bolognese: la carne che vende, su stivali e tacchi verti gin oliano, si, si chiama Ancroia, e sono immaginabili le deformazioni del suo nome. Ci sono Cravatta, lo strozzino, e il Tedeschino, uno che praticava l’arte dell’intellettuale di sinistra e ora campa facendo il buffone. C’è uno zingaro scafato che scopriremo nella classica agnizione finale essere il fratello di Fessa, rapito in gioventù da gitani.
Il sangue preme, gli amori si intrecciano, i tradimenti, le gelosie, la fame, la voglia di vivere nonostante tutto. Si intarsiano le lingue, tutte riportate a strane varianti dell’ita- a descrivere un villaggio globale che è il nostro. A un certo punto scoppia il dramma di coltello e ci scappa il morto, con pentimento finale e morale che quello che
conta è riconoscersi fratelli, in un mondo di profughi e di case lontane. Potrebbe sembrare un fervorino appiccicato e invece è un colpo di coda da fiaba tipo Miracolo a Milano: qui i poveri non volano sulle scope ma intonano tutti Va, pensiero.
Gli attori sono quelli di Arte e Salute, con tre bravissimi esterni, Massimo Scola (lo zingaro), Nicole Guerzoni (Fessa), Valentina Mandruzzato (Ancroia). Garella è il sordido, melanconico Tedeschino.
Ma la meraviglia, in una commedia esilarante, dai tempi perfetti, sono gli interpreti pazienti psichiatrici: padroni del personaggio, brillanti con profondità. Moreno Rimondi, è il boss, incalzante e sopraffino; Pamela Giannasi, la mezzana, è una certezza di umorismo e spigliatezza; bravi gli altri, Giovanni Cavalli della Rovere, Luca Formica, Iole Mazzetti, Filippo Montorsi, Mirco Nanni, Massimiliano Paternò, Roberto Risi. Produzione Ert applauditissima. Li buffoni Regia di Nanni Garella all’Arena del Sole Sala Salmon fino al 4 marzo 8