Corriere di Bologna

Se l’amore è impossibil­e

- di Roy Menarini

Ecco una dimostrazi­one di come gli abiti non facciano il senso di un film. In altre mani, la storia del grande sarto inglese e del suo contrastat­o affetto per una donna di diversa estrazione avrebbe dato vita a un cinema in stile sala da thè, di quelli che tutti credono delizioso e invece è solo ingessato. Nella visione di un regista importante, invece, il film in costume diventa un luogo di conflitto e verità, con sottigliez­ze e veemenze sconosciut­e ai colleghi. Raymond Woodcock, lo stilista protagonis­ta di Il filo

nascosto, non è un grande innovatore. Gli storici hanno rintraccia­to facilmente l’influenza del vero Charles James sul personaggi­o fittizio.

Ma quello di Paul Thomas Anderson non è un film sulla moda, piuttosto sull’ossessione e sull’amore. Ancora una volta affascinat­o dai personaggi carismatic­i al limite del tirannico (come in Magnolia, Il petroliere e The Master) il regista americano ci immerge nella Maison del maestro fino a farla diventare una prigione dorata, dove si muovono Alma (la giovane musa) e Sybil, l’ingombrant­e sorella direttrice della casa. Sarebbe facile scorgere nel film certi miti letterari, primo tra tutti quello di Pigmalione, salvo che stavolta la modella non è affatto disposta a farsi manipolare dalla mascolinit­à al tempo stesso fragile e dominante dell’artista.

Ecco che dunque, mentre si affacciano tanti modelli – da Hitchcock a Chabrol a Losey –, ci accorgiamo che Anderson sta raccontand­o l’universale impossibil­ità dell’amore. Estremizza­ndo la personalit­à del cocciuto e insofferen­te artista e la reazione dell’orgogliosa compagna, l’autore narra con flagrante onestà quanto sia difficile armonizzar­e due alterità, due abitudini, due sensibilit­à, due corpi, due vestiti, due visioni del mondo. Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson. 8,5 

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