UN’APOCALISSE POTENZIALE
Trovo ci sia qualcosa di decisamente bizzarro nel modo in cui noi umani ordiniamo, in base alla loro importanza relativa, le vicende del nostro tempo. Consideriamo il caso di una persona che, come chiunque tra noi, si alzi la mattina un po’ assonnata e accenda la radio per ascoltare il notiziario in attesa che il caffè renda il tutto meno nebuloso. Cosa sentirebbe? Alle porte di una delle più importanti capitali del Medio Oriente, Damasco, si vive una drammatica emergenza, in cui la popolazione civile è vittima di bombardamenti senza sosta e che non risparmiano nemmeno i bambini. Più vicino a noi si è consumata una terribile strage nella quale due bambine sono state uccise e una donna ferita dal solito padre e marito padrone non in grado di affrontare pacificamente la conclusione di una relazione, oltreché ben armato. Di fronte a noi, nel futuro immediato, una tornata elettorale tra le più confuse della storia repubblicana annuncia rischi di incertezza politica, perfino di ingovernabilità del Paese. Eppure ben diversa è la notizia che il nostro non troppo ipotetico concittadino sentirebbe per prima, perché in questi giorni i notiziari non parlano che di centimetri di neve e di freddo. La linea viene presto passata a «inviati sul terreno» che, con un linguaggio e un’enfasi più adatti a teatri di guerra, riportano una situazione certamente grave, ma probabilmente non seria. Non almeno a chi si periti di fare qualche confronto.
Eppure, al di là di tale constatazione, a chi abbia qualche anno in più tutto ciò sembra davvero inedito. Il segno di un cambiamento di sensibilità che, a ben vedere, si rivela costituito da due aspetti solo apparentemente contradditori. Il primo è che sembra che siamo diventati tutti più sensibili e morbosamente attenti alle più infime fonti di rischio. Rispetto a un passato non troppo lontano, oggi basta poco per spingerci subito a cercare di cautelarci: chiudendo le scuole, fermando i mezzi pubblici, suggerendo ai concittadini di cambiare comportamenti a rischio. Il secondo, invece, mostra che, nonostante e forse proprio in virtù di tutte queste cautele, siamo sempre meno capaci, o forse meno disponibili, ad affrontare difficoltà anche tutto sommato modeste. Così tendiamo a interpretare qualche centimetro di neve come l’inizio di una potenziale apocalisse, o di un’imminente glaciazione, piuttosto che come l’occasione per fare a palle di neve. Ma in effetti, in giro, di bambini ce ne sono sempre di meno.