«Uno zio Vanja» Cechov ai giorni nostri
Da stasera al Duse l‘allestimento con Marchiori
Pochi autori hanno segnato così profondamente il Novecento come Anton Cechov. Il suo teatro, apparentemente dimesso, popolato di personaggi normali fino alla banalità, ha anticipato temi e atmosfere che avrebbero pervaso la scena e lo schermo. Portato al successo da Stanislavskij con una leggendaria regia del
Gabbiano che segnò l’inizio di un realismo psicologico e interiorizzato, ha influenzato Bergman e Beckett ma anche Woody Allen. Tra le sue opere
Zio Vanja, andata in scena nel 1899 oggetto anche dell’ultimo film di Louis Malle, Zio Vanja sulla 42.esima strada.
Da stasera a domenica al Duse (ore 21, festivo ore 16) è un attore di vaglia come Vinicio Marchiori a proporre una nuova lettura della pièce, insieme rispettosa dell’originale e creativa. Uno zio Vanja, adattamento di Letizia Russo, scrittrice tra le più attive delle nostre scene, sposta l’azione ai nostri giorni, dalle nostre parti, in un paese colpito dal terremoto. E però si vuole anche far conoscere pienamente questa commedia delle aspirazioni frustrate, del sacrificio, dell’attesa che si prolunga per un’intera vita.
Vanja amministra la tenuta per conto del marito della sorella defunta, convivendo in quella ignota provincia con la nipote Sonja e con altre anime che aspirano a qualcosa di diverso, senza riuscire a muoversi, come il dottor Astrov, idealista sognatore di un futuro di uguaglianza e bellezza che non fa nulla per propiziare. Tutti sono illuminati dalla luce riflessa del professor Serebrjakov, che credono un genio e che deluderà ogni aspettativa. L’opera si chiude con un inno alla rassegnazione, nella coscienza che la vita non riservi ricompense o entusiasmi. Al fianco di Marchiori, che firma anche la regia, recitano Francesco Montanari, Nina Torresi, Lorenzo Gioielli, Milena Mancini, Alessandra Costanzo, Andrea Caimmi, Nina Raja; scene di Marta Crisolini Malatesta, musiche di Pino Marino.
Scrive Marchiori: «Cosa resta delle nostre ambizioni con il passare della vita? E se fossimo in Italia oggi, anziché nella Russia di fine 800? La nostra analisi del capolavoro cechoviano parte da queste due domande, che aprono squarci di riflessioni profondissime, attraverso quello sguardo insieme compassionevole, cinico e ironico proprio di Anton Cechov finalizzato a mettere in scena “gli uomini per quello che sono, non per come dovrebbero essere”».