CARMELO BENE «CONCERTO MISTICO»
Stasera alla Cupola del Pilastro va in scena la rilettura di «Amor morto», spettacolo pensato dal grande attore scomparso sedici anni fa. L’attrice Silvia Pasello dialoga con la musica eseguita da Ares Tavolazzi. Seguirà l’incontro con lo studioso Giacchè
È un omaggio al genio di Carmelo Bene il terzo appuntamento di Laminarie a Dom, la cupola del Pilastro, stasera alle 21 (autobus 20, fermata Panzini, 051/6242160). Si intitola Amor morto. Concerto mistico e vede in scena Silvia Pasello, attrice che fu al fianco dell’artista in Macbeth Horror
Suite e che collaborò ad altri suoi lavori, e il jazzista Ares Tavolazzi. Dopo lo spettacolo si terrà l’incontro «L’Attore e il Santo» a cura di Piergiorgio Giacché, studioso di teatro e antropologo, amico di Bene e acuto analista del suo teatro, che ha interpretato in un libro fondamentale, Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale (Bompiani, 1997 e 2007).
Ci racconta il professore: «Narrerò innanzitutto l’antefatto. Il “Concerto mistico” era stato pensato da Carmelo per congedarsi dal passato millennio, lui che non si sentiva di entrare nel nuovo. Doveva inizialmente essere realizzato a Perugia, poi nella francescana Santa Maria degli Angeli, ma in realtà non si fece. Doveva attraversare varie visioni mistiche, da Maddalena de’ Pazzi a Angela da Foligno a san Giovanni della Croce. L’ho ripreso a Perugia lo scorso settembre per gli 80 anni di Bene, cercando di far incontrare, con Silvia Pasello e Ares Tavolazzi, teatro, musica e poesia. Carmelo aveva rivisto e adeguato alcuni testi, per esempio intervenendo sulle traduzioni di San Giovanni della Croce».
Dopo questa premessa Giacché continuerà circa così: «Secondo me, questo lavoro introduce un tipo di attrice che pensa in azione. Voglio trattare gli estremi verso cui può tendere un certo tipo di teatro: l’alchimia e la mistica, Artaud e Grotowski, o anche Carmelo e Grotowski. Silvia con entrambi ha sviluppato lavori basati sulla verticalità, sulla profondità, qualcosa di diverso dall’orizzontalità del teatro di rappresentazione e di quella performatività liquida diffusa oggi, ormai altrettanto convenzionale. L’attore è Carmelo, il santo è Grotowski. Silvia mi sembra stia nel mezzo, non in modo intellettuale, ma vivendo effettivamente in scena le contraddizioni tra queste due polarità diverse ma entrambe abissali». Conclude lo studioso: «Ci sono attori che pensano il teatro e dunque attori che in qualche modo “pregano” nel loro teatro, se “pregare” è il verbo laico più corretto per indicare il cortocircuito fra azione e pensiero che avviene in scena. È una pratica e non una teoria, si resta in scena e non si vola in cielo: ecco perché Attore e Santo è un’endiadi più corretta e soprattutto più concreta per porre il problema — e non il tema — del rapporto fra teatralità e sacralità».