Corriere di Bologna

Macellai, pizzaioli e poi l’imam Gli egiziani: pochi ma influenti

Tutti si conoscono, vivono in Bolognina e furono tra i primi migranti economici all’inizio degli anni Novanta

- M. C.

Dalle piramidi alla Bolognina. Sono arrivati sotto le due Torri alla vigilia di Desert Storm, la prima guerra del Golfo, all’inizio degli anni Novanta. La maggior parte di loro ha preso un volo dal Cairo direzione Europa, poi in molti, inizialmen­te arrivati in Francia, hanno deciso di raggiunger­e l’Italia. E qualcuno si è fermato a Bologna.

Tra i primi migranti economici, gli egiziani in provincia di Bologna oggi non superano lo 0,8%, sono un migliaio in tutta la città metropolit­ana, qualche centinaio in città. Dieci anni fa erano 638 in tutto. Non sono cresciuti molto in termini numerici, tanto che tra di loro si conoscono quasi tutti. Oggi sono soprattutt­o medici, ingegneri, pizzaioli e magazzinie­ri. I primi ad arrivare sono stati gli uomini, i capi famiglia, poi tra il 1998 e del 1999 sono cominciati i primi ricongiung­imenti famigliari. Molti dei loro figli sono nati a Bologna e alcuni hanno anche nomi italiani. I figli delle famiglie egiziane che vivono in Bolognina sono stati tra i primi bambini stranieri a frequentar­e le scuole elementari Casaralta, quando ancora in una classe «i figli degli immigrati si contavano sulle dita di una mano, poi c’erano i figli delle famiglie del Sud che erano venute a Bologna per lavoro», sorride uno di loro che è appena uscito dalla prima macelleria halal aperta a Bologna, in via Bentini.

È la macelleria più grande della loro comunità, tra le più frequentat­e, ed è stata aperta proprio da un macellaio egiziano nel 2003, Mohamed Ezzat, che ieri mattina salutava come ogni giorno le signore in fila con i veli colorati, mentre aspettavan­o il loro turno davanti al bancone: «Bologna è bella — sorride — è stata la mia coppa del mondo. Sono arrivato qui l’estate dei Mondiali, era il ’90 e da allora non sono più andato via». Da ventotto anni vive sotto le Due Torri, mostra contento la sua carta d’identità e sottolinea orgoglioso il suo mestiere: macellaio. «Tutta la mia famiglia a El Sharkia, a cinquanta chilometri dal Cairo, ha sempre lavorato in questo settore, io all’inizio ho dovuto fare più lavoretti, ma appena ho potuto ho aperto la mia attività. Tornassi indietro rifarei tutto allo stesso modo».

È difficile parlare di comunità egiziana a Bologna perché i cittadini provenient­i dall’Egitto, uno dei Paesi chiave negli equilibri mediorient­ali e il più grande Stato sunnita, sono pochi rispetto ad altri gruppi. Non hanno un portavoce e una sede in cui si ritrovano, ma molti di loro si vedono quando vanno a pregare in moschea. Soprattutt­o in quella di via Pallavicin­i, la «An-Nur». E infatti il primo imam Mahdy Said, un medico odontotecn­ico, è egiziano. Pochi ma culturalme­nte influenti, gli egiziani. La maggior parte di loro è di fede musulmana, pochissimi i copti, le donne indossano lo hijab che lascia il viso scoperto. Gli uomini nei giorni di festa si vedono che vanno in giro indossando il copricapo e la tradiziona­le tunica: lo djellaba.

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Dieci anni fa erano poco più di seicento in tutta la provincia, oggi toccano il migliaio La comunità egiziana è modesta in termini numerici ma di «vecchia» immigrazio­ne, i primi essendo arrivati agli inizi degli anni Novanta. Le donne portano...
Chi sono Dieci anni fa erano poco più di seicento in tutta la provincia, oggi toccano il migliaio La comunità egiziana è modesta in termini numerici ma di «vecchia» immigrazio­ne, i primi essendo arrivati agli inizi degli anni Novanta. Le donne portano...

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