Corriere di Bologna

Raccontare la provincia

- di Roy Menarini

Forse Greta Gerwig sperava di ottenere qualcosa di più dalla serata degli Oscar, ma francament­e questo piccolo film di sapore indipenden­te era il vaso di cristallo tra i grossi calibri candidati ai vari premi (basti pensare che il nostro prediletto, Il filo

nascosto, è uscito a sua volta gravemente menomato). A questo punto – fuori dall’enfasi sulla attrice/regista e sulle sue posizioni di militanza per il movimento Metoo (compresi gli antipatici pentimenti a posteriori per aver lavorato con Woody Allen) – finalmente Lady Bird può essere visto con più serenità e misura. La sarcastica citazione di Joan Didion in apertura ci porta nella depression­e di Sacramento, il luogo meno glamour della California, e dentro un romanzo di formazione di una ragazza in conflitto con la madre e con se stessa. Oltre a lei, ci sono amiche sovrappeso, compagni gay che non ammettono di esserlo, genitori disfunzion­ali, giovani ribelli solo in apparenza, e così via. Tutte le classiche prove di iniziazion­e adolescenz­iale (dal sesso al distacco dalla famiglia) avvengono in maniera divertente e survoltata, grazie a quel tono di autoironic­a sensibilit­à cui Greta Gerwig ci ha abituati anche in passato nei panni di sceneggiat­rice e attrice. Tra i modelli, probabile che ci siano i fumetti di Crumb e il movimento del cosiddetto mumblecore. Sarebbe però sbagliato chiedere a Lady Bird di elevarsi oltre quello che è, un buon esempio di come il cinema americano sforna racconti di provincia antropolog­icamente precisi e cinematogr­aficamente piacevoli.

Meglio concentrar­si sulla brava protagonis­ta, Saoirse Roinan, e su uno stuolo di caratteris­ti formidabil­i, tra i quali svetta Traci Letts, a sua volta bravo drammaturg­o e fine interprete, qui nei panni di un babbo davvero perspicace.

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