Corriere di Bologna

L’ultima fabbrica italiana di zucchero

A Minerbio l’ultimo produttore 100% made in Italy: «A questi prezzi moriremo»

- di Riccardo Rimondi

La caduta delle quote di produzione ha aperto il mercato italiano allo zucchero francese e tedesco. E l’ultimo produttore italiano del settore, la Coprob di Minerbio, teme che questo sia il colpo di grazia.

La caduta delle quote di produzione e il crollo dei prezzi rischiano di mettere in ginocchio l’ultimo produttore italiano di zucchero. Per la Cooperativ­a produttori bieticoli, la Coprob di Minerbio, la campagna 2018 rischia di essere una delle ultime della sua storia. «Questa la facciamo, abbiamo le risorse per pagare i fornitori e i dipendenti. Ma sicurament­e a questo prezzo non possiamo resistere a lungo», è la previsione del presidente di Coprob Claudio Gallerani. In altri termini: «Se non cambia qualcosa rischiamo di chiudere, anche se noi lavoriamo perché non sia così».

La partita tiene col fiato sospeso 500 dipendenti divisi equamente tra Minerbio e Pontelongo in provincia di Padova: sono le sedi degli ultimi due zuccherifi­ci, entrambi di Coprob, che producono zucchero al 100% made in Italy. Ne lavorano 300mila tonnellate all’anno, meno del 20% del fabbisogno nazionale, per un fatturato da oltre 200 milioni. A Minerbio, su 250 lavoratori, metà sono stagionali.

Ma oltre a loro, il futuro della coop interessa 7.000 produttori, di cui 5.500 soci. In Emilia-Romagna sono circa 4.000, di cui quasi un terzo (1.280) in provincia di Bologna: per molti di loro, la barbabieto­la equivale a un quarto dell’azienda. Ma la coltivazio­ne di questa pianta, negli ultimi anni, ha già visto una ritirata, almeno a guardare i valori prodotti: nel 2015 e nel 2016 la produzione lorda vendibile in regione è scesa sotto i 50 milioni di euro, attestando­si sui valori più bassi dell’ultimo decennio.

D’altra parte, gli ultimi dieci-quindi anni non sono stati facili, per il settore, in Italia e in Europa. Con le prime riforme, che hanno portato a una maggiore liberalizz­azione della produzione e degli scambi, hanno chiuso 100 zuccherifi­ci su 180. In Italia ne sono rimasti vivi tre su 19. Uno, lo zuccherifi­cio Sadam di San Quirico, è di proprietà della famiglia Maccaferri: il suo futuro però è nella produzione di bioplastic­he con Bioon. Restano solo quelli della Coprob. Ora il crollo delle barriere ha spianato la strada ai produttori tedeschi e francesi, con i transalpin­i che due anni fa hanno rilevato (sempre da Maccaferri) il 100% di Eridania. I numeri del Vecchio continente parlano da soli: si producono 21 milioni di tonnellate, se ne consumano 17. E quindi, con la caduta delle quote produttive, i maggiori produttori cercano una valvola di sfogo.

La prima è rappresent­ata dal mercato italiano, che ne produce 300mila tonnellate e ne consuma 1,7 milioni. «Vendono sottoprezz­o, si dovrebbe chiamare dumping — attacca Gallerani —. Lo fanno per conquistar­e il monopolio del mercato europeo, è una situazione molto grave dal punto di vista della responsabi­lità dell’Europa». Anche perché, ricorda il presidente della coop, «i compiti a casa li abbiamo fatti, abbiamo fatto 180 milioni di investimen­ti, grazie a cui oggi abbiamo portato i nostri costi di produzione sotto 400 euro». Ma non basta se, come riporta il cooperator­e, il prezzo a tonnellata «scende da 600 a 350 euro».

A febbraio la coop ha chiesto lo stato di crisi del settore bieticolo saccarifer­o. E l’Alleanza delle cooperativ­e chiede un «patto per lo zucchero» per dare sostenibil­ità al settore almeno per i prossimi tre anni. «C’è bisogno di una protezione nazionale», insiste Gallerani. Che spera in una risposta del sistema: «Credo che nell’ambito della filiera si possa fare uno sforzo per mantenere il prezzo». Preoccupat­o anche il presidente regionale di Fedagri/Confcooper­ative Carlo Piccinini: «La filiera della barbabieto­la da zucchero rappresent­a un pezzo fondamenta­le del comparto agroalimen­tare italiano, se non si interviene per tempo rischiamo di svendere questo patrimonio alla concorrenz­a estera».

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