L’ultima fabbrica italiana di zucchero
A Minerbio l’ultimo produttore 100% made in Italy: «A questi prezzi moriremo»
La caduta delle quote di produzione ha aperto il mercato italiano allo zucchero francese e tedesco. E l’ultimo produttore italiano del settore, la Coprob di Minerbio, teme che questo sia il colpo di grazia.
La caduta delle quote di produzione e il crollo dei prezzi rischiano di mettere in ginocchio l’ultimo produttore italiano di zucchero. Per la Cooperativa produttori bieticoli, la Coprob di Minerbio, la campagna 2018 rischia di essere una delle ultime della sua storia. «Questa la facciamo, abbiamo le risorse per pagare i fornitori e i dipendenti. Ma sicuramente a questo prezzo non possiamo resistere a lungo», è la previsione del presidente di Coprob Claudio Gallerani. In altri termini: «Se non cambia qualcosa rischiamo di chiudere, anche se noi lavoriamo perché non sia così».
La partita tiene col fiato sospeso 500 dipendenti divisi equamente tra Minerbio e Pontelongo in provincia di Padova: sono le sedi degli ultimi due zuccherifici, entrambi di Coprob, che producono zucchero al 100% made in Italy. Ne lavorano 300mila tonnellate all’anno, meno del 20% del fabbisogno nazionale, per un fatturato da oltre 200 milioni. A Minerbio, su 250 lavoratori, metà sono stagionali.
Ma oltre a loro, il futuro della coop interessa 7.000 produttori, di cui 5.500 soci. In Emilia-Romagna sono circa 4.000, di cui quasi un terzo (1.280) in provincia di Bologna: per molti di loro, la barbabietola equivale a un quarto dell’azienda. Ma la coltivazione di questa pianta, negli ultimi anni, ha già visto una ritirata, almeno a guardare i valori prodotti: nel 2015 e nel 2016 la produzione lorda vendibile in regione è scesa sotto i 50 milioni di euro, attestandosi sui valori più bassi dell’ultimo decennio.
D’altra parte, gli ultimi dieci-quindi anni non sono stati facili, per il settore, in Italia e in Europa. Con le prime riforme, che hanno portato a una maggiore liberalizzazione della produzione e degli scambi, hanno chiuso 100 zuccherifici su 180. In Italia ne sono rimasti vivi tre su 19. Uno, lo zuccherificio Sadam di San Quirico, è di proprietà della famiglia Maccaferri: il suo futuro però è nella produzione di bioplastiche con Bioon. Restano solo quelli della Coprob. Ora il crollo delle barriere ha spianato la strada ai produttori tedeschi e francesi, con i transalpini che due anni fa hanno rilevato (sempre da Maccaferri) il 100% di Eridania. I numeri del Vecchio continente parlano da soli: si producono 21 milioni di tonnellate, se ne consumano 17. E quindi, con la caduta delle quote produttive, i maggiori produttori cercano una valvola di sfogo.
La prima è rappresentata dal mercato italiano, che ne produce 300mila tonnellate e ne consuma 1,7 milioni. «Vendono sottoprezzo, si dovrebbe chiamare dumping — attacca Gallerani —. Lo fanno per conquistare il monopolio del mercato europeo, è una situazione molto grave dal punto di vista della responsabilità dell’Europa». Anche perché, ricorda il presidente della coop, «i compiti a casa li abbiamo fatti, abbiamo fatto 180 milioni di investimenti, grazie a cui oggi abbiamo portato i nostri costi di produzione sotto 400 euro». Ma non basta se, come riporta il cooperatore, il prezzo a tonnellata «scende da 600 a 350 euro».
A febbraio la coop ha chiesto lo stato di crisi del settore bieticolo saccarifero. E l’Alleanza delle cooperative chiede un «patto per lo zucchero» per dare sostenibilità al settore almeno per i prossimi tre anni. «C’è bisogno di una protezione nazionale», insiste Gallerani. Che spera in una risposta del sistema: «Credo che nell’ambito della filiera si possa fare uno sforzo per mantenere il prezzo». Preoccupato anche il presidente regionale di Fedagri/Confcooperative Carlo Piccinini: «La filiera della barbabietola da zucchero rappresenta un pezzo fondamentale del comparto agroalimentare italiano, se non si interviene per tempo rischiamo di svendere questo patrimonio alla concorrenza estera».