MAGNISI: «BIAGI ERA UOMO DI RAGIONE I TERRORISTI? PARLANO DA FALLITI»
Magnisi, amico di Biagi, ha assistito i parenti nel processo alle Br
Amico di Marco Biagi sin dall’adolescenza, l’avvocato Guido Magnisi ha assistito i suoi familiari nel processo contro le nuove Br. Il legame con i familiari di Biagi è ancora forte e oggi, sedici anni dopo quell’agguato e 40 anni dopo l’assassinio Moro, dice che alla fine contro le Br «ha vinto la società». E «ha vinto, anche se è una vittoria terribile, l’amore dei suoi cari».
«Vegliamo sulla ragione. Sempre. Ecco per cosa è vissuto Marco Biagi». Guido Magnisi è stato amico del professore di diritto del lavoro, da quando uno aveva quattordici anni e l’altro sedici, ha accompagnato sua moglie Marina, i figli, i genitori nel lungo, dolorosissimo processo agli assassini delle Brigate Rosse. Ieri erano a cena di famiglia fra ricordi, ritrovarsi, rimandi e, come sempre con Magnisi, dotta leggerezza. «È parlare di amore. — dice il penalista —. Della fierezza di chi ha cercato la ragione, con una sua idea ma cercando il giusto e il corretto anche senza ideologie. Deideologizzandola. Furono in tanti a farlo, in quasi mezzo secolo di morti. Lui fu l’ultimo».
Infine, vittoria dello Stato? Chi lo racconta ai figli, alle mogli?
«Anche qui, è l’amore che nel bene e nel male ha retto queste famiglie. Il prezzo della vittoria della società è stato altissimo. La sua storia è la fierezza con cui è stato raccontato e tramandato un rapporto. Da padri, madri, figli, famiglie. La vittoria, terribile, è loro».
Avete visto umanità o sovraesposizione nelle interviste in tv ai brigatisti per i 40 anni della strage di via Fani e l’uccisione di Aldo Moro? «Mi colpisce l’analisi empatica rispetto a quello che hanno fatto. La totale mancanza di autocritica. Ma nella scelta di dare la parola ai terroristi non vedo nulla di nuovo. Eschilo fu il primo a dare la parola agli sconfitti, con I Persiani, una tragedia che non attinge più alla mitologia ma alla cronaca, alla battaglia di Salamina. Gli sconfitti raccontavano le ragioni dello loro disfatta».
L’hanno rappresentata dieci anni fa anche sulla Linea Gotica.
«Dare la parola agli sconfitti è libertà e democrazia».
Ma quella degli Anni di Piombo non fu una guerra.
«Non solo. Se i terroristi parlano, parlano da sconfitti. Nella consapevolezza della loro sconfitta. Ascoltarli significa percepire in maniera assoluta il loro fallimento. E devono percepirlo con assoluta consapevolezza gli spettatori. Non so quanto quelle interviste siano state filtrate».
Ci sono addirittura dei caso in cui giornalisti o intellettuali sembrano essere rimasti affascinati dai brigatisti.
«La stupidità e l’insipienza fanno parte del giudizio critico sugli Anni di Piombo. Nei momenti di tensioni sociali dove sono fuggiti spesso gli intellettuali?».
Ma Biagi fu ucciso nel 2002: ventiquattro anni dopo Moro, 14 dopo Ruffilli, tre dopo D’Antona.
«Sappiamo veramente tutto sul 1978 e sul 2002? Vedo questa glacialità… c’è tutta la verità o manca qualcosa?».
Secondo lei?
«Non ne ho idea».
Rossana Rossanda il 28 marzo 1978, in pieno rapimento Moro, parlò di Album di famiglia del Pci a proposito del linguaggio delle Br, andando indietro ben prima del Gruppo reggiano dell’Appartamento, con Alberto Franceschini, Prospero Gallinari, Lauro Azzolini, Franco Bonisoli, Roberto Ognibene, Fabrizio Pelli.
«Non credo si possa far risalire il terrorismo al Dopoguerra e alla Guerra Fredda. Rossanda poi faceva un discorso molto più complesso di come la interpretarono».
E al ‘68 e al ‘77 si può far risalire?
«Sia chiaro che qui cambiamo argomento».
In che senso?
«Il ‘68 storicamente fu un momento molto importante. Fucina di cultura».
Lei ha usato il termine deideologizzato: da dove parte?
«Da lontano. Biagi non fu capito, fu lasciato solo. Io dico semplicemente che basta guardare i dibattiti in tv dei politici di allora. Di quelli che non la pensano come me: Malagodi, Bignardi, Almirante. Linguaggio elegante, forbito, colto».
E adesso?
«Sergio Marchionne a chi gli ha chiesto dei Cinque Stella ha risposto: abbiamo visto di peggio. Tutto si aggiusta».
I brigatisti in tv Dare la parola agli sconfitti è democrazia, ma mi colpisce la totale mancanza di autocritica