La sfida di Paolo, Bologna-Monaco in carrozzina contro il tumore
Il Salvemini di Casalecchio fa da apripista, sfruttando il Jobs act
Dal cancro che gli ha causato l’amputazione di una gamba all’impresa da eroe: Paolo Vezzani, dopo le cure del Rizzoli, andrà da Bologna a Monaco con la sua carrozzina.
«Sara, mi fai una fotocopia per favore?». Lei prende il plico di fogli che le allunga una studentessa, si illumina in un sorriso ed esegue. Sara ha un sogno. Anzi, due. Il primo è di diventare segretaria della scuola che l’ha vista — e l’ha fatta — crescere. Il secondo è vedere pubblicate le sue poesie in un libro. «Perché ho la sindrome di Down che a volte mi ostacola, ma ho il cuore normale come tutti». Più che un cuore normale, un cuore grande, a sentirla parlare della sua vita, delle sue emozioni, della madre gravemente malata di cui si prende cura nella loro casa di Marzabotto.
Sara, che di cognome fa Yakoubi, metà sangue (materno) polacco e metà (paterno) tunisino, ha 22 anni e fa la collaboratrice scolastica al Salvemini di Casalecchio. Ci sono volute molte battaglie burocratiche, ma alla fine la scuola, fiore all’occhiello di Bologna per l’inclusione degli studenti disabili, ce l’ha fatta a farle ottenere un tirocinio formativo nello stesso edificio dove la ragazza ha prima preso un attestato di competenza e dove ora frequenta i corsi serali per conseguire il diploma.
In pratica il Salvemini, confermando la sua inclinazione di scuola dedita all’inclusione e al sostegno, l’ha adottata. «Avevamo capito che in un contesto lavorativo di tipo scolastico Sara andava molto bene. Prima della fine dei suoi 5 anni ho chiesto una riunione all’unità multidisciplinare e siamo andati a Marzabotto», spiega Maria Ghiddi, vicepreside e pilastro del sostegno nell’istituto, fresca di un libro scritto a quattro mani con la mamma di Luca Gardella, studente del Salvemini con la sindrome dell’X fragile.
A Marzabotto è cominciata la strada in salita, perché non sempre gli enti locali sono pronti ad affrontare le novità. Nessuno aveva mai sentito parlare di una ragazza con sindrome di Down impiegata come bidella in una scuola. «Perché no?», ha continuato a ripetere Ghiddi, forte anche della certificazione Ecdl di base conseguita da Sara, che con il computer ci sa davvero fare. Quindi il Salvemini, normativa regionale e nazionale alla mano, ha bussato alla porta dell’Ufficio scolastico provinciale e di quello regionale: la porta si è spalancata. «Lì mi hanno confermato — spiega Ghiddi — che la scuola poteva essere l’ente ospitante per certificare il tirocinio. A quel punto abbiamo trovato l’ente promotore, che nel caso di Sara è la cooperativa Csapsa». Ma a quanto pare per la legge l’ente promotore lo può fare qualunque Centro per l’impiego, il che snellirebbe ulteriormente le pratiche per casi come quello di Sara. Insomma, le scuole non solo possono promuovere i tirocini formativi, ma possono anche essere i luoghi in cui i tirocini si svolgono. «La legge regionale parla chiaro e il Jobs act ha poi sancito definitivamente la possibilità che le scuole siano enti ospitanti per qualunque tirocinio», dice Ghiddi, forte della formazione in diritto.
Un’apertura legislativa che potrebbe rappresentare la svolta per molti ragazzi come Sara. Eppure il Salvemini pare, per ora, essere l’unico caso in Emilia-Romagna e molto probabilmente, anche l’unico in Italia. «I primi a fare le procedure sulla piattaforma idonea — spiega Ghiddi — siamo stati noi. Dopo aver assunto Sara con l’apprendistato, molte scuole ci hanno chiamato per sapere come fare. A oggi nessuna è riuscita ad assumere ragazzi disabili, serve molta collaborazione da parte degli enti locali».
Per avere ulteriori opportunità per il suo futuro, adesso Sara sta prendendo il diploma serale al Salvemini. E a settembre potrà entrare nelle graduatorie d’istituto per avere le supplenze annuali. Con il diploma in mano, potrà diventare bidella di ruolo. Al Salvemini come in qualunque altra scuola, magari vicina a casa, visto che tutti i giorni arriva in autobus da Marzabotto. Sara si allarga in un sorriso, guarda la vicepreside: «Questa è la mia famiglia ormai». E le famiglie buone, si sa, sono quelle che danno gli strumenti giusti per farcela da soli. «Mi mancano alcune cose a causa della sindrome di Down — dice Sara — ma alcune le ho compensate con l’aiuto di chi mi è stato più vicino. E quando l’ho capito, mi sono detta: “Wow, allora lo posso fare anch’io”». Sì, lo può fare anche Sara. E tutti quelli come lei che hanno entusiasmo e alle spalle persone con più entusiasmo di loro.
” Questa è la mia famiglia, mi piacerebbe diventare segretaria
Ghiddi: «Le scuole possono ospitare i tirocini, ma serve aiuto dagli enti locali»