La battaglia vinta dell’orfano ghanese «Sofferenza eccessiva, merita l’asilo»
«Sono nato in Ghana, ad Accra, ma non ho alcun documento ghanese. Mia madre è morta dandomi alla luce e all’età di 4 anni sono andato a vivere in Libia con mio padre». Inizia così il racconto di un ventenne richiedente asilo nella primavera di un anno fa davanti alla commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato di Bologna.
La sua storia è quella classica di un san papiers: nato in Ghana, e per questo non avente diritto alla protezione internazionale, ma senza alcun legame con il paese d’origine, nè la lingua nè la cittadinanza. La commissione territoriale ha rigettato a luglio 2017 la richiesta per l’insussistenza sia del «fondato timore di persecuzione» nel paese d’origine, cioè il Ghana, sia per le supposte «incoerenze interne» del suo racconto. Ma il Tribunale di Bologna ha accolto invece la richiesta, con un’ordinanza molto dettagliata e con pochi precedenti.
Il ragazzo racconta alla commissione e alla Prima sezione civile di come in Libia, dove è cresciuto e ha imparato l’arabo e un lavoro da meccanico nell’officina del padre, nel clima di caos post dittatura, il padre è stato ammazzato davanti ai suoi occhi dai rivoluzionari, a causa di un’auto da riparare che gli avevano affidato ma che gli è stata rubata. «Mi hanno legato una corda
La commissione rigetta ma i giudici: «In patria non ha legami e qui si è integrato bene»
intorno al collo e mi hanno messo un sacco in testa, hanno cominciato a picchiarmi dovunque e a darmi delle scariche elettriche, ho ancora la cicatrice sul fianco», si legge nel verbale d’udienza. «Hanno continuato così per giorni — racconta ancora —, finché non ho sentito una voce femminile: “oggi è venerdì, quando loro vanno a fare la preghiera ti apro”». E così la fuga, il viaggio su un barcone di disperati e l’arrivo in Italia due anni fa. Per il Tribunale il richiedente «con dovizia di particolari e con grande par- tecipazione emotiva ha descritto la ferocia e la violenza, le torture fisiche e psicologiche subite» in Libia, dove comunque non può essere rimpatriato non essendo il suo Paese. «Nel contempo — sottolinea il giudice — non ha più alcun effettivo legame con il Ghana». Mentre «il positivo percorso di integrazione nel nostro Paese», dove oggi svolge un tirocinio da cuoco e ha imparato l’italiano, giustificano invece la concessione di un permesso umanitario.