La finzione della realtà è archeologia teatrale nell’idea di Morganti
Claudio Morganti è quasi un mito del teatro contemporaneo italiano. È un attore che si nega alle tournée, che vive una propria particolare dimensione fatta di laboratori e di rare, distillate, intensissime uscite come interprete o come regista. Allievo di Carlo Cecchi, in anni ormai lontani in duo dirompente con Alfonso Santagata, cerca una propria originale strada, sospesa tra la verità estrema e la finzione dichiarata. Frequenta autori dal fraseggio esistenziale come un certo Shakespeare, Pinter, Beckett e soprattutto l’amatissimo Büchner, del quale ha attraversato in modi differenti Woyzeck o il racconto Lenz.
La rassegna Agorà, diretta da Elena di Gioia nell’Unione Reno-Galliera, insieme a quella del teatro di Castel Maggiore, intitolata Nel fuoco della rivolta e dedicata al ’68, con la firma di Francesca Mazza, porta stasera alle 21 al teatro comunale di Argelato La vita ha un dente d’oro di Rita Frongia, con Francesco Pennacchia e Gianluca Stetur, regia di Morganti (info 333/8839450). Il titolo viene da un’espressione bulgara difficilmente traducibile in italiano, che significa più o meno: in ogni realtà c’è una nota di finzione. Lo spettacolo è definito un’opera «di archeologia teatrale, che porta in scena il gusto e il piacere della vera finzione, quella autentica, che privilegia il gioco e la santa idiozia, la fede nell’arte del fallimento». Scrive Morganti: «Insomma, signori, potrete vedere due attori. Certamente il gradino più basso dell’umanità, ma pur sempre due persone, due esseri, due esemplari di una specie in via d’estinzione (…) Venite a vedere di cosa sono capaci! Di quale profonda ed inarrivabile stupidità sanno farsi carico! Come sanno attrarsi e distrarsi, precipitare dalle vette del sublime al buco nero del marasma più ingovernabile!». (Ma. Ma.)