Ottani Cavina presenta il «suo» Ruskin
Anna Ottani Cavina racconta oggi nella biblioteca della Fondazione Zeri la grande mostra «Le pietre di Venezia» che cura a Palazzo Ducale in laguna. «Noi lo presentiamo come pittore, ma fu un notevole uomo di pensiero. Finì per schierarsi contro l’avanzat
Forse se ancora oggi la ammiriamo specchiarsi nei suoi canali, città labirinto meravigliosa dove può capitare perfino di percorrere qualche calle senza incontrare un turista, il merito è di uno strano signore inglese che visse dal 1819 al 1900. La sua importanza per la riscoperta di Venezia la racconta una bella mostra a Palazzo Ducale, John Ruskin. Le pietre di Venezia. Visitabile fino al 10 giugno nella città lagunare, è curata da Anna Ottani Cavina, professore emerito dell’Alma Mater e presidente onorario della Fondazione Zeri, un patrimonio che lei stessa ha consegnato alla nostra città grazie al rapporto intellettuale con il grande critico d’arte Federico Zeri. Oggi alle 17.30 racconterà la mostra nella biblioteca della Fondazione, in piazzetta Morandi 2.
Professoressa, chi era Ruskin?
«La sua lunga vita si sovrappone perfettamente a quella della regina Vittoria. Fu celeberrimo, tradotto in francese da Proust, ammirato da Tolstoj, Oscar Wilde, Virginia Woolf, D’Annunzio. Poi, come tutta l’età vittoriana, fu rimosso. La sua memoria fu riscattata negli anni 60-70 del Novecento, ma ancora oggi non è troppo amato. Noi lo presentiamo come pittore, ma fu un notevole uomo di pensiero. Quando pubblicò i suoi libri, le immagini non erano facilmente riproducibili. Dovette far rivivere le opere di cui parlava attraverso la scrittura. E in questo la sua influenza arriva fino a Roberto Longhi».
Forse fu dimenticato a causa di certi esiti del suo pensiero?
«Lui finì per schierarsi contro l’avanzata dell’industria e per sognare il ritorno a un mondo “intatto”. Costruì una scuola di artigianato, per restaurare un’armonia medievale tra lavoro e uomo…».
E Venezia?
«Con ben undici viaggi disegna e documenta una città che vedeva sull’orlo del disfacimento, poverissima, con la Ca’ d’Oro e Ca’ Foscari puntellate, transennate. Tra il 1851 e il 1853 pubblica Le pietre di Venezia.
Egli ama soprattutto la Venezia bizantina e gotica, medievale, dall’aspetto coloratissimo, orientale, costruita razziando beni a Costantinopoli e in altri luoghi del Mediterraneo. E si adopera, con i suoi scritti, per salvarla».
In quale senso?
«Nell’Ottocento molti sostenevano che la città moriva perché non era abbastanza moderna. L’avrebbero fatta rivivere il ponte con la terraferma, la ferrovia e gli sventramenti. Ruskin centra l’attenzione sul carattere unico di Venezia, aprendo la strada all’idea di tutela che si compirà, dopo l’alluvione del 1966, con le leggi per il risanamento».
Come è organizzata la mostra?
«Si svolge in nove sale ed è costruita con un lavoro di ricerca triennale, che è andato a rintracciare opere in tutto il mondo, perché di Ruskin nelle collezioni italiane non c’è nulla. L’allestimento è di Pier Luigi Pizzi, il grande scenografo e regista teatrale. Si vedono principalmente disegni e acquerelli su carta, e questo è un carattere che la rede difficilmente replicabile, perché le opere su quel
” La lunga vita di Ruskin si sovrappone perfettame nte a quella della regina Vittoria. Fu celeberrimo , tradotto in francese da Proust, ammirato da Tolstoj, Oscar Wilde, Virginia Woolf, D’Annunzio . Poi, come tutta l’età vittoriana, fu rimosso. La sua memoria fu riscattata negli anni 60-70 del Novecento, ma ancora oggi non è troppo amato
supporto dopo essere state esposte devono essere conservate per due anni al buio».
Come si snoda?
«Con un percorso affascinante nel Palazzo Ducale. Al piano terra sono stati recuperati i capitelli gotici originali di un palazzo che Ruskin riteneva il più bello del mondo, segati e conservati dopo un crollo ottocentesco. Nella stanza del doge sono state schermate le pareti e gli acquerelli risaltano meravigliosi dal buio. Ogni stanza ha un tema. Si possono vedere gli appunti di viaggio con paesaggi delle Alpi e disegni naturalistici, e i taccuini veneziani, gli appunti e gli schizzi che tracciava nelle sue quotidiane passeggiate».
Qual è la qualità dei disegni?
«Si riconosce lo sguardo dello scienziato, attento a fermare i dettagli. Ma nelle sue “zoomate” raggiunge esiti visionari. E in mostra ci sono anche alcuni Turner: Ruskin difese il pittore da chi lo attaccava per le sue immagini sfumate».
Come mai per Ruskin Venezia inizia a morire nel Rinascimento?
«Per lui la Serenissima è grande finché è una comunità viva. Decade quando il potere si ispira a modelli esterni, come quelli fiorentini nelle arti. È collocabile nel filone inglese romantico che difende il gotico e riscopre il Medioevo. Nella mostra ci sono sale magnifiche dedicate alla natura, indagata nei suoi misteri con un forte senso del sacro, valori che la Rivoluzione francese aveva spazzato via».
Come è stato organizzare la mostra?
«Un lavoro che mi ha impegnato moltissimo. Abbiamo raccolto più di cento pezzi. Ma credo sia stato utile tracciare una storia da cui comincia il riscatto di Venezia».