Corriere di Bologna

«Se spariscono posti come quello, se ne va una città»

- He. F.

«La storia del vostro Diana mi ricorda un poco quella del ristorante I 12 apostoli di Verona, due stelle Michelin nel 1969 e poi dopo tanti anni di onorato servizio chiuso». È Davide Paolini che parla, il gastronaut­a de Il Domenicale de il Sole 24 Ore, l’inventore di Taste, e di una trasmissio­ne su Radio 24. Sempre lucido e dal giudizio distaccato, Paolini, quando gli diciamo che il Diana chiude, dice: «Se spariscono posti così, indipenden­temente da come si mangia, se ne va una città». E aggiunge. «Mi auguro che, come è accaduto recentemen­te per I 12 apostoli, anche il Diana possa rinascere dalle proprie ceneri». «Mio nonno — ricorda — era un commercian­te di carni e quando si veniva a Bologna al mercato del bestiame, si andava poi sempre dopo a pranzo al Diana, che ai miei occhi di ragazzino era uno dei primi ristoranti importanti dove venivo portato. Ci mangiavo sempre e solo un unico piatto: la cotoletta alla bolognese. Il Diana era sinonimo di Bologna, anche se sono tanti anni che non ci vado a mangiare». Quando chiude un posto del genere che gronda ancora storia, le domande sul perché (e mettiamo da parte un attimo lo sfratto) sorgono spontaneam­ente. «Oggi la cucina è spettacolo. È divertire per stupire. Si può naturalmen­te non essere d’accordo, ma è così. Forse il Diana non è stato in grado di creare un nuovo genere di allure, quello moderno che tanto piace. La clientela non bada più ai servizi d’argento e alle tovaglie di fiandra. Vuole altro. Il Diana, e ripeto forse, non ha saputo seguire l’evoluzione e lo sviluppo inevitabil­e della ristorazio­ne di questi anni». E poi «Bologna è una città troppo presa dalla cucina di casa per riempire i ristoranti con la stessa frequenza che si usa in altre città». Concorrenz­a low profile del Quadrilate­ro? «Certo. Lì propongono una deformazio­ne veloce e a basso costo di una cucina che è nata lenta e di qualità».

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