E la Virtus salì in cima all’Europa «Un calcetto ci regalò la gloria»
Vent’anni fa l’invasione bianconera di Barcellona. Savic racconta il trionfo finale
Zoran Savic, torni indietro di 20 anni. Si ricorda cosa stava facendo in questo periodo?
«Stavamo pensando a Barcellona, ma prima c’era una partita di playoff a Roma».
Vero, però la testa della città era già in Catalogna...
«Tutti volevamo entrare nella storia di questo club vincendo la prima Eurolega. Battuta la Fortitudo eravamo consci che dovevamo andare a Barcellona per vincere».
Treviso, Partizan e Aek le altre partecipanti. La favorita, però, era la Kinder.
«Sapevamo di essere la squadra più forte. Adoravo giocare quel tipo di partite e il formato della Final Four. Il mondo si fermava a guardarti. Io e Sasha eravamo gli unici ad aver già conosciuto quell’atmosfera, non vedevamo l’ora di scendere in campo».
Non eravate soli. Bologna si era trasferita in massa a Barcellona.
«Dormivamo nell’albergo in centro dove aveva alloggiato anche il Dream Team. Passeggiando per le Ramblas oppure andando a mangiare al ristorante incontravi solamente dei tifosi della Virtus».
Pressione o carica?
«Ci hanno dato grande carica, però sentivamo anche la pressione della grande squadra che deve vincere qualcosa. Sotto pressione i grandi giocatori si esaltano».
Battuto il Partizan in semifinale, la finale del 23 aprile è contro l’Aek degli ex Coldebella e Prelevic.
«Ioannidis, il coach dell’Aek, puntava su una difesa molto fisica. Avevano lunghi come Victor Alexander e Michael Andersen, entrambi enormi e tosti. Fu una partita dura e non bella da vedere».
58-44 i finale, ma il suo canestro da tre a 1’25” dal termine fu quello che chiuse i giochi.
«Lo ricordo bene. Pick and roll con Sasha, passaggio e il tiro ci avvicinò alla vittoria. Eravamo migliori di loro, eravamo un gruppo di carattere abituato a vincere battaglie importanti. Superare nei quarti una squadra incredibile come la Fortitudo ci aveva dato questa consapevolezza».
Il tiro più importante della sua carriera?
«Forse avremmo vinto anche senza quel canestro. Magari è il tiro che ricordo di più, perché è uno dei miei pochi canestri da tre».
Per lei ci fu anche il titolo di Mvp.
«La cosa più importante era la conquista dell’Eurolega. Per noi, per i tifosi, per la società che non l’aveva mai vinta. Un godimento incredibile, ma ancora più bello è il risveglio il giorno dopo quando ti rendi conto di far parte della squadra più forte d’Europa».
Da Barcellona si è portato via anche un altro trofeo?
«Il pallone della partita. Mi è capitato per le mani alla sirena e l’ho conservato durante l’invasione dei tifosi».
Ci racconta un aneddoto di quei giorni a Barcellona?
«La partita di calcetto alla fine dell’allenamento fra la semifinale e la finale. Durante la preparazione estivo avevo detto al prof Grandi che non avrebbe avuto il coraggio di farci giocare prima della finale di Eurolega. Lui mi disse: “Tu portami in finale e ci penso io”. Ovviamente non mi ricordavo questa battuta, ma alla fine dell’allenamento il prof. arriva con il pallone. Messina quasi sviene, ma lui rispettava Grandi e ci ha fatto giocare contribuendo a rilassare l’ambiente».
Il bis arrivò all’aeroporto.
«Lì era un altro tipo di calcetto, era più rilassato anche Messina».
Quale era il segreto di quella squadra?
«Ci piaceva lavorare e stare assieme. Dopo le partite in casa andavamo tutti a cena al ristorante di Brunamonti. Anche se avevi giocato male, dopo cinque minuti dimenticavi tutto con quelle persone».
” Zoran Io e Sasha sapevamo cosa ci aspettava: ogni passo per strada incontravi soltanto bolognesi, c’era carica ma anche pressione Fu il prof Grandi a sdrammatizzare tutto col pallone da calcio