Quei messaggi dalla trincea con la Virotype del 1914
Da oggi verranno esposte in Sala Teatini le macchine da scrivere usate in tempo di guerra
I millennials potrebbero anche riderci su, oggi, ma macchine da scrivere come la Olivetti Lettera 22 e la sue erede, la Lettera 32, oggi leggende, giornalisti come Biagi, Montanelli, Oriana Fallaci, Tiziano Terzani le prediligevano perché leggere, funzionali, precise. Pratiche. Questo per citare due degli oltre 40 esemplari che ammireremo da oggi al 25 aprile nella Sala Teatini di Strada Maggiore, 4, di fianco alla Sede dell’Ordine dei Giornalisti. Location non casuale. La mostra è infatti intitolata «Macchina da scrivere e comunicazione in tempo di guerra», è organizzata da un’appassionata associazione che unisce i collezionisti di macchine per ufficio, la Compu (patrocinano Comune di Bologna e Regione) e mette in evidenza, oltre agli oggetti in sé, come questi venivano utilizzati da reporter inviati in zone di guerra dall’Ottocento in avanti. Tema che sarà approfondito in diversi incontri, in particolare nel convegno a Palazzo d’Accursio oggi alle 14 (ingresso libero come la mostra, aperta dalle 10 alle 18. Info 347/4943576). I pezzi da novanta in esposizione? Una Virotype del 1914, leggera al punto che, utilizzata nelle trincee durante la Prima Guerra Mondiale, la usavano anche a cavallo. O la Corona 3, di cui ammireremo un modello del 1912. Leggendaria anch’essa perché resa celebre da Ernest Hemingway. Ricevuta in regalo dalla sua ragazza di allora, non se ne separò praticamente mai. Prima da inviato, poi come scrittore. E ancora, la Olivetti M1, prodotta in edizione limitata a causa dello scoppio della Grande Guerra, quando la Olivetti si dedicò alla produzione di materiale per l’esercito come i magneti per gli aerei da caccia, di cui vedremo un modello identico a quello che accese l’aereo di Francesco Baracca nel suo ultimo volo nel 1918. Non mancano le macchine del Ventennio dai nomi facilmente riconoscibili (come la scarsa fantasia nei modelli, peraltro): Patria, Balilla, Mas. La mostra si collega anche alla storia del nostro costume. Come spiega Domenico Scarzello, presidente di Compu e curatore del progetto insieme a Cristiano Riciputi, «la macchina da scrivere ha segnato un’epoca della comunicazione molto importante ed è una vicenda tutta italiana di cui andare orgogliosi». Non solo. Questa è anche la storia di un’emancipazione, quella femminile, a partire proprio da Christopher Sholes, l’inventore della tastiera qwerty nel 1873. Non essendoci dattilografi in giro, fece testare i prototipi alla figlia diciottenne. Da lì, il processo inarrestabile.