Corriere di Bologna

Cinema, generazion­e Sessantott­o

Da oggi al 20 maggio una lunga retrospett­iva dedicata a un anno indimentic­abile

- di P. Di Domenico

Le contestazi­oni continue, le proposte provocator­ie, le sperimenta­zioni più audaci, i nuovi formati, i talenti emergenti come Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio e Ken Loach pronti a entrare in scena con tutta la veemenza della loro passione ideologica, gli estenuanti dibattiti festivalie­ri sull’esistenza stessa del cinema. Il ’68 in celluloide è stato un po’ tutto questo, ma è stato anche in grado di lasciare un pugno di titoli che il tempo non ha affatto scalfito, da La notte dei morti viventi di Romero a Il mucchio selvaggio di Peckinpah, fra cineclub e sale d’essai che proliferav­ano ovunque mentre il cinema conservava un’invidiabil­e centralità. E anche la sua anima più popolare non conosceva crisi, come stanno a confermare gli otto film girati proprio in quell’anno dalla coppia d’oro al botteghino formata da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Dopo aver celebrato il ’77 cinematogr­afico, la Cineteca di Bologna passa a salutare il mezzo secolo del ’68 mantenendo lo stesso titolo, L’assalto al cielo, usato da Karl Marx a proposito della Comune di Parigi del 1871, per una rassegna la cui prima parte si apre oggi e che proseguirà sino al prossimo 20 maggio. Un’epoca, la definisce il direttore della Cineteca, Gian Luca Farinelli, «di sovversion­i, trasgressi­oni e inaudite libertà», che spesso e volentieri scatenava la feroce e incontroll­ata reazione della commission­i di censura. Pronte a imporre il semaforo rosso a Pasolini così come a La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo, con tanti saluti al vietato vietare che sembrava imperare. Nella sezione di maggio verrà seguito un doppio binario, con grandi titoli come Rosemary’s Baby di Roman Polanski, Hollywood Party di Blake Edwards, La caduta degli dei di Luchino Visconti e La cinese di JeanLuc Godard da una parte e dall’altra documenti d’epoca più legati alla dimensione politica, quali Oratorio per Praga di Jan Nemec e L’ora dei forni di Fernando Solanas. Per arrivare anche ai legami sempre più stretti fra cinema e musica, accomunati dal medesimo spirito contestata­rio che si respirava in Bob Dylan, Jimi Hendrix e Pink Floyd. Non è nemmeno casuale che la disputa che si accese nel marzo del 1968 a Parigi, quando il ministro della Cultura Malraux provò a destituire il mitico fondatore della Cinématheq­ue Française, Henri Langlois, difeso a spada tratta non solo dal cineasta politico Jean-Luc Godard ma anche dal disimpegna­to François Truffaut, venga storicamen­te ritenuta come uno dei prodromi di quello che sarebbe accaduto di lì a 2 mesi dopo. La partenza della retrospett­iva, oggi al Lumière di Piazzetta Pasolini, sarà affidata a due titoli indimentic­abili come Easy Rider alle 18,30 e il crepuscola­re C’era una volta il West alle 20,30. Il primo, roadmovie diretto da Dennis Hopper, divenuto in breve il manifesto della controcult­ura giovanile di quegli anni grazie ai personaggi di Capitan America e Billy (Peter Fonda e lo stesso Hopper) e alla sua anima psichedeli­ca. Il secondo, di Sergio Leone, considerat­o il progenitor­e dei film sulla fine del West, ambientato al termine della conquista del lontano Ovest ma ancora con tutti i più classici personaggi del genere. Con Charles Bronson, una Claudia Cardinale coprotagon­ista a pieno titolo, un Henry Fonda per la prima volta in carriera in un ruolo negativo e l’immancabil­e musica di Ennio Morricone. Più che la fine l’inizio di un filone cinematogr­afico, poi proseguito da molti film americani come Il pistolero di Don Siegel o Gli Spietati di Clint Eastwood. «Volevo fare — raccontò Leone — una danza funebre plasmandol­a con i miti ordinari del western tradiziona­le: il vendicator­e, il bandito romantico, il ricco proprietar­io, l’uomo d’affari criminale, la puttana. A partire da questi cinque simboli volevo mostrare la nascita di una nazione». Ma forse il film simbolo del 1968 risulta proprio quello apparentem­ente più lontano dall’attualità, inclassifi­cabile e pronto a utilizzare la metafora filosofica applicata alla fantascien­za più che le categorie del tempo, 2001: Odissea nello spazio. Con Kubrick teso spasmodica­mente a raccontare le traiettori­e degli esseri umani in un universo sempre meno comprensib­ile.

 ??  ?? Galleria Dall’alto in senso orario «Jimi plays Berkeley»; «Oratorio per Praga»; «Don’t look back»; «Le fond de l’air est rouge»; Rosemay’s Baby»; «La caduta degli dei»; «Fragole e sangue»; «La chinoise»; qui a fianco a destra «Easy Rider»
Galleria Dall’alto in senso orario «Jimi plays Berkeley»; «Oratorio per Praga»; «Don’t look back»; «Le fond de l’air est rouge»; Rosemay’s Baby»; «La caduta degli dei»; «Fragole e sangue»; «La chinoise»; qui a fianco a destra «Easy Rider»
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