Quello che fa la differenza
Mentre le presenze in sala tracollano a causa del bel tempo, e quando vai al cinema il solo scorgere venti file più avanti un altro paio di spettatori ti fa sentire meno solo, escono in verità titoli tutt’altro che disprezzabili. Anche questo Molly’s Game merita una visione, a patto che siate tra quelli che non riescono a stare senza un cinema per oltre sette giorni, altrimenti potete aspettare opere più necessarie. La mente dietro questa curiosa biografia semi-criminale è Aaron Sorkin, una delle penne più prolifiche e ingegnose della televisione e del cinema americani. Suo il perfetto script di The Social Network e sue anche serie come The West Wing e The Newsroom. In verità Sorkin non è un grande sceneggiatore, in compenso è un fantastico dialoghista e un ottimo costruttore di personaggi, e lo dimostra anche la sua protagonista (interpretata da Jessica Chastain, fin troppo vistosa e kitsch), che gestisce tutto il racconto con una voce fuori campo travolgente e piena di humour. Lei è simile a Tonya (entrambe hanno a che fare con gli sport invernali) ma poi si trasforma nella «principessa del poker», una cinica organizzatrice di partite e scommesse al limite della legalità, dove miliardari e mafiosi superano la linea di demarcazione tra gli uni e gli altri per partecipare al tavolo verde. Ascesa e caduta del mito, modello scorsesiano, quindi nulla di nuovo sotto il sole. Ma in fondo che c’è di nuovo sotto il sole? Per il cinema contemporaneo, oggi, è più importante lo storytelling dell’originalità, e sono le piccole cose a fare la differenza. E qui sono tante, tutte brillanti, salvo poi smarrire la struttura più ampia. Eppure guardare il dito e perdersi la Luna può anche essere piacevole, se il dito sulla tastiera è quello di Sorkin.